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Giovanni Della Casa Le terze rime IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPITOLO DEL MARTELLO Tutte le infirmitá d'un ospitale, Contandovi il francioso e la moria, Quanto il martel d'amor, non fanno male. Non è chi sappia dir quel che si sia; Ma vienti voglia mille volte all'ora 5 Di disperarti e di gittarti via. Purché ti guardi torto la signora, Parti aver le budelle in un canestro, Vatti pur, e confessa allora allora. Passeggia a santo Gianni, a san Silvestro; 10 Rodesi i guanti un, quand'egli ha martello; Fermasi or sul piè manco ed or sul destro; Crucciasi or col compagno, or col fratello; Fugge gli amici, e sta bizzarro e strano, Ed è per far del resto del cervello. 15 Ogni altro ragionar è breve e vano, Sol del suo amor si mette la giornea: Iddio ne guardi ogni fedel cristiano. Chiamala or furfantella, or ninfa, or dea: Corre di qua, di lá, suda e s'ammazza 20 Per trovarle la mula o la chinea. In somma questa è una cosa pazza, Ed io per me l'ho giá piú volte detto, Che chi non ha martello, in vero sguazza. Quando altri per dormir è ito al letto 25 Comincia i suoi sospiri a ritrovare, E beccasi il cervello a bel diletto. Non lo farebbe 'l sonno addormentare; E chi contasse allora i suoi pensieri, Potrebbe annoverar l'onde del mare. 30 Va racconciando insieme i falsi e i veri: La ragionò col tal, l'andò, la stette: Quest'è, ch'io non la vidi oggi né ieri. Ma sopra tutte l'altre acerbe strette È quando giostra teco un prete, e cozza: 35 Questo, cred'io, n'ha morti piú di sette. In sí strana fortuna ambi n'accozza, Frate, ch'abbiam piagato ambi il polmone D'una sol man, cosí foss'ella mozza. Cavaci la bambagia del giubbone, 40 Ed a contemplazion d'una puttana Ci toglie amor l'aver e le persone. Facci aspettar tutt'una settimana, A disagio impiccati per la gola, Una vecchia, una balia, una roffiana; 45 Che per averle detto una parola, Non chiede, ma comanda, e vuol ch'altrui Mariti or la nipote, or la figliuola. Sempre ti butta in occhio: - io feci, io fui; Ben si può dir, Pandolfo mio gentile, 50 Chi s'innamora, o poveretto lui. So che sapete del ladro sottile, Che a Giove fé la barba giá di stoppa Quando gli beccò su l'esca e 'l focile. Come caval da spron tocco galoppa, 55 Cosí si crucciò lui quel mariuolo, Che non era uso di portar in groppa. Non era ancor la pentola e 'l paiuolo, Ma crude si mangiavan le vivande: Tant'avea il padre allor, quanto il figliuolo. 60 Dicono alcun, che si vivea di ghiande; Facciam pur conto ch'elle fosser pere, Per non voler or far la cosa grande. Basta, ch'essi attendevano a godere, E vivean sempre lieti a la carlona; 65 Quando gli avean mangiato, volean bere. Non si stava in quel tempo con persona, Non era né creanza né respetto, Che la vita non lascian saper buona. Speranza, sanità, gioia e diletto 70 E tornavan la sera teco al letto. Si facca d'ogni cosa un guazzabuglio; Ogni stanza era camera e cucina. 75 Poi che quel trafurel fece garbuglio, Quel Dio lassú ci mandò freddo e caldo, E conciò tutti i mali in un mescuglio. E per fargli piú forti, quel ribaldo In un vasetto tutti gli ripose, 80 Che d'ogni 'ntorno era serrato e saldo. Gotte, gomme, dolor, doglie franciose, Mal di fianco e di stomaco, e la peste, E la quartana fur le prime cose. La star con altri poi poser con queste, 85 Non dico giá del nostro cardinale, Ma con altre persone disoneste. Affaticarti ben, ed aver male E non aver un ladro d'un quattrino, E guardar in cagnesco l'ospitale, 90 Litigar col parente o col vicino, Partir il patrimonio co' i fratelli, E mancarti or il pane ed or il vino. Mastri di casa e mastri di tinelli, E scrivere e far guardie e cavalcare, 95 E tagliar delle barbe e dei capelli. Di queste e di mill'altre cose rare Fu pieno il vaso, come tu dicessi, Non far piatto la sera, o digiunare, Non servar cosa che tu promettessi, 100 E mill'altre cosette e zaccherelle, Che faria noia altrui, s'io le scrivessi. Poter aver piú tosto delle stelle, Che un beneficiol ben sciagurato, E gire a stare a suon di campanelle. 105 Fu il vaso molto ben chiuso e serrato, E per una saccente messaggiera Mandato al truffator da Giove irato. Disse, che un lattovaro dentro v'era: Com'ei l'aperse, uscir dell'albarello 110 Infermitá, dispetto e doglie a schiera; Ma il peggior mal di tutti fu il martello.
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