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Giovanni Della Casa Le terze rime IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPITOLO DELLA STIZZA Tutti i poeti e tutte le persone, Ognun infin di celebrarvi è roco: Sí son le vostre cose belle e buone. Ed io per me, se non ch'io temo un poco Di costor, che ragionano in sul saldo, 5 Crederei dir di voi cose di foco. Non ch'io mi senta però tanto caldo, Ch'io voglia dir, ch'io vi lodasse a pieno, Ch'io mi vergognerei com'un ribaldo. Ma s'io scrivessi ben qualcosa meno, 10 Dico, che quando ell'è netta farina, Se non è colmo il sacco, e' basta pieno. È ben ver, ch'una donna sì divina Non istá bene in bocca ad un par mio, Che sono un poetuzzo di dozzina. 15 Ma pur di questo, al nome sia di Dio, Che se gli altri mi parlan, e ch'io gli odo, Debbo pur poter dir qualcosa anch'io. Io dico dunque, e dicolo in sul sodo, Che la natura si stillò 'l cervello, 20 Per fare un tratto una donna a suo modo. Ciò che voi fate par fatto a pennello; Ciò che voi avete o dirieto o dinanzi, A giudicio d'ognuno è buono e bello. Ma delle vostre lodi una m'avanzi, 25 L'altre le lascio a poeti migliori, Per quel rispetto ch'io vi dissi dianzi: Che in ver le vostre lodi e i vostri onori Non gli conteria tutti uno abbachista, Sì ch'io le lascio lor da una in fuori, 30 La qual dell'altre par men bella in vista Ma chi con discrezion l'occhio dirizza, La porrá sempre in capo della lista. Quest'è,che quando l'uom punto v'attizza Voi v'adirate com'un bel soldato: 35 Dirò dunque le lode della Stizza, Senza la qual in vero da ogni lato Ci sarian fatte il dí cento vergogne, E non ci rimarria roba né fiato. Ch'i collerici fan le lor bisogne 40 Nette e spedite, dove un paziente Ha sempre mille intrichi e mille rogne. Non si riscoterebbe giammai niente, E terrebbeci ognun l'entrate indreto, Se non fussi che l'uom pur si risente, 45 Che tal mangia la sapa cheto cheto, Perch'ella è dolce, ch'andrebbe piú adagio Con la mostarda forte e con l'aceto. S'egli è nessun ch'abbia stare a disagio, Tuttavia tocca al piú dolce di sale, 50 O sia quaggiú per Roma, o sia 'n palagio. Gli fanno insino a votar l'orinale Se fussi camerier forse d'un prete, Ognun, con ch'e' s'impaccia, gli fa male. Non vuol la stizza aver cose segrete, 55 Perché se vi montasse il moscherino, La vi faria mostrar ciò che vo' avete: Ell'è dunque uno spirito divino Dappoich'ella vi mostra i cori aperti, E necessaria, piú che '1 pane e 'l vino; 60 Nemica proprio capital di certi Golponi cortigian fatti all'antica, Che vorrebbono star sempre coperti. Però ch'un tutto l'anno s'affatica Per istar cheto, e poi s'ella gli monta, 65 Bisogna, s'e' crepassi, ch'e' lo dica. Ha la stizza la lingua e la man pronta E' veritiera, e com'io dicev'ora, Non vi dá mai dirieto, ma v'affronta. La lingua del stizzoso taglia e fora, 70 E la mano fa sempre al primo tratto Quel, dove un altro stenterebbe un'ora. Questo ha pronti il cervello e 'l corpo adatto; Mena sempre le man com'un barbieri: Quando un altro comincia, questo ha fatto. 75 Le vespe e certi mosconacci neri S'un non s'adira, gli cavano gli occhi. E mangianli la carne in su 'l taglieri. Però, cred'io, vi piacciono i ranocchi Che par ch'e' monti lor la bizzarria 80 Al primo, e saltan, come tu gli tocchi. Non voglio entrar in la filosofia. Che sarebbe un andar per l'infinito, E potrevi anche dir qualche pazzia. Ma dico ben, ch'ella fa l'uomo ardito 85 Come quando un s'adira, e fa del resto, Che a sangue freddo non terria l'invito. Vuol che si dian le carte presto presto, E 'nvitavi alla bella condannata, E giuoca in su la fede, e toglie impresto. 90 Non l'ha sì tosto in man, che l'ha guardata Che quel vedere adagio è uno stento, Un far rinnegar Cristo alla brigata. Dove un di questi freddi invita lento, Non si punge gioca sempre stretto, 95 E se vol aver mille, ha mille e cento. Dio ti fé di sua mano umor perfetto Per farci schietti, arditi e liberali: Che sia tu mille volte benedetto. E poi metton costor ne' serviziali 100 La scamonea, e 'l mal, che Dio dia loro, Per cavarla de' corpi de' mortali. Che saria da comprarla a peso d'oro: Perché un cervel ch'ha poca levatura, Vò morir io, se non val un tesoro. 105 O fortunata voi, che la natura Fé con le seste e le bilance in mano, Così tornate a peso e a misura, Che avete il viso bello e 'l capo sano Che sete solo il caffo e l'eccellenza 110 |
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