Scena terza
Fulcio, Marso servi.
FULCIO Debb’io qui tutta
notte aspettare, come io non abbia se non questa faccenda? Sollecitala tu fin
ch’io ritorni, che vo qui appresso. – Spendono queste femine pur assai tempo in
adornarse;: mai non ne vengono al fine: mutano ogni capello in dieci guise,
inanzi che si contentino che così resti. E che fan? Prima col liscio (oh che
longa pazienzia!), or col bianco, or col rosso, metteno, levano, acconciano,
guastano, cominciano di nuovo, tornano mille volte a vederse, a contemplarse
nel specchio: in pelarse poi le ciglia, in rassettarse le poppe, in rilevarse
ne’ fianchi, in lavarse, in ungerse le mani, in tagliarse l’ugne, in fregarse,
strusciarse li denti, oh quanto studio, quanto tempo si consuma! quanti
bossoli, ampolle, vasetti, oh quante zacchere si mettono in opera! in minor
tempo si dovea di tutto punto armare una galea. Io potrò ben con grande agio
fornire intanto la battaglia che ho giurato a Crisobolo, poi che ho la maggior
fortezza espugnata, prima che li nemici avessino dirizzata l’artigliaria, per
battere l’ultima ròcca che mi fa guerra, che è la borsa di questo tenacissimo
vecchio; che, se mi succede come io spero, rapporterò di aver rotti, vinti et
esterminati gli inimici: averò la gloria solo. Or, bussando a questa porta,
assalterò le sprovedute guardie.
MARSO Chi è?
FULCIO Fa assapere a
Crisobolo, che un messo del signor Bassà gli ha da fare una imbasciata.
MARSO Ché non entri tu in
casa?
FULCIO Digli che si degni
venir fòra per bon rispetto, e che per una sua gran faccenda io son venuto.
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