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Lapo Gianni O morte della vita privatrice IntraText CT - Lettura del testo |
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Componimento O morte della vita privatrice, o di ben guastatrice, dinanzi a cui porrò di te lamento? Altrui non, sento, - ch'al Divin Fattore. Perché tu, d'ogni età divoratrice, se' fatta imperadrice che non temi né foco, aigua né vento? Non ci vale argomento - al tu' valore: tuttor ti piace eleggere il megliore e 'l più degno d'onore. Morte, sempre dai miseri chiamata e da' ricchi schifata - come vile, troppo se' 'n tua potenza segnorile: non provedenza umile, quando ci tolli un om fresco e giulivo, oi ultimo accidente destruttivo! O Morte oscura di laida sembianza, o nave di turbanza, che ciò che vita congiunge e notrica nulla ti par fatica - a sceverare, perché, radice d'ogni sconsolanza, prendi tanta baldanza? D'ogn'uom se' fatta pessima nemica; nova doglia ed antica - fai criare, pianto e dolor tuttor fai generare: ond'io ti vo' blasmare, ché, quando un om prende diletto e posa di sua novella sposa - in questo mondo, breve tempo lo fai viver giocondo, ché tu lo tiri a fondo, poi no ne mostri ragion ma usaggio, donde riman doglioso vedovaggio. O Morte, partimento d'amistate, o senza pietate, di ben matrigna ed albergo di male, già non ti cale - a cui spegni la vita. Perché tu, fonte d'ogni crudeltate, madre di vanitate, se' fatta arciera e di noi fa' segnale, di colpo micidial - se' sì fornita? Oh, come tua possanza fia finita, trovando poc' aita, quando fie data la crudel sentenza di tua fallenza - dal Signor superno! Poi fia tu' loco in foco sempiterno: lì farai state e verno, là dov' hai messi papi e 'mperadori, re e prelati ed altri gran segnori. O Morte, fiume di lagrim' e pianto, o nemica di canto, desidro che visibile ci vegni, perché sostegni - sì crudel martire. Perché di tanto arbìtro hai preso manto, e contra tutti 'l guanto? Ben par nel tu' penser che sempre regni, poi ci disdegni - in lo mortal partire. Tu non ti puoi, maligna, qui covrire, ned a ciascun disdire, che non trovassi più di te possente, ciò fu Cristo, potente - a la Sua morte, che prese Adamo ed ispezzò le porte, incalciandoti forte: allora ti spogliò de la vertute, ed a lo 'nferno tolse ogne salute. O Morte, nata di mercé contrara, o passione amara, sottil ti credo porre mia questione contra falsa ragion - de la tu' opra. Perché tu, fatta nel mondo vicara, ci ven' senza ripara? Nel dì giudicio avrai quel guiderdone ch'a la stagione - converrà ch'eo scopra. Oi, com'avrai in te la legge p[r]opra! Ben sai, chi morte adopra, simil deve ricever per giustizia. Poi tua malizia - serà rifrenata, ed a orribel morte giudicata, come se' costumata in farla sostenere ai corpi umani, per mia vendetta i' vi porrò le mani. O Morte, s'io t'avesse fatta offesa, o nel mio dir ripresa, non mi t'inchino a' pie' merzé chiamando, ché, disdegnando, - io non chero perdono. Io so ch'i' non avrò ver' te difesa: però non fo contesa; ma la lingua non tace, mal parlando di te e riprovando - cotal dono. Morte, tu vedi quanto e quale io sono, che conteco ragiono; ma tu mi fai più muta parlatura che non fa la pintura - a la parete. Oh, come di distruggerti ho gran sete! Ché già veggio la rete che tu acconci per voler coprire cu' troverai o vegghiare o dormire. Canzon, gira'ne a que' che sono in vita, di gentil core e di gran nobeltate: di' che mantengan lor prosperitate, e sempre si rimembrin de la Morte in contastarla forte; e di' che, se visibil la vedranno, che faccian la vendetta che dovranno.
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