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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO SECONDO
    • XIV - La Lepre e le Rane
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XIV - La Lepre e le Rane

 

Non sapendo una Lepre cosa fare

nella sua tana, per uscir di tedio

sulla sua sorte prese a meditare.

(Dormire o meditare è un gran rimedio.)

 

- O disgraziati sempre i timorosi!

- dicea fra sé quel povero animale, -

che da paura internamente rosi,

non c'è piacer che non finisca male.

 

Anche il boccon ti si conficca in gola,

vivi e dormi sospeso, in crucci, in pene:

ogni voce, ogni uccel che in l'aria vola,

ti fa gelare il sangue nelle vene.

 

Corrèggiti”, mi dice un barbassoro.

Ma si corregge il mal della paura?

Ho veduto fior d'uomini, anche loro

far talvolta una misera figura -

 

Trista, crucciata e di paura gialla,

così dicea... Quando a un tratto s'udiva

un fruscìo, che la fe', le gambe in spalla,

d'uno stagno scappar presso la riva.

 

Le Rane, al suo venir, saltan nel fosso,

e dentro al fango ciascuna si abbica.

- Oh! oh! - grida la Lepre, - e dunque posso

esser anch'io terribile nemica.

 

Hanno paura, un fulmine di guerra

mi credono, non son quel che già fui.

Ho capito, non c'è poltrone in terra,

che non trovi un poltrone più di lui -.

 

 




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