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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO SECONDO
    • XVI - Il Corvo che vuole imitare l'Aquila
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XVI - Il Corvo che vuole imitare l'Aquila

 

Vedendo un Corvo l'Aquila, che audace

rapiva un agnelletto,

più debol, ma non men di lei vorace,

vuol tentare il medesimo colpetto.

 

Senza pensarci molto,

salta addosso a un magnifico montone,

un bocconcin da far gola agli Dèi

e ch'era riservato al sacrificio,

a lui gridando: - Il fatto mio tu sei.

Non so chi t'abbia fatto così bello,

ma non potrei trovar miglior boccone -.

E, come dissi, piomba sull'agnello.

Ma udite caso strano!

Quella gentile ovina creatura

pesava come un cacio parmigiano,

e aveva un pelo d'una tal natura,

così folto, diremo,

che la barba parea di Polifemo.

 

Quel pelo aggrovigliò del mio corbaccio

così bene gli sgraffi,

che non poté più trarsene d'impaccio.

Venne il pastor, lo prese, e il tristo augello

fu dato ai pastorelli per zimbello.

 

Aggiunge qui la solita morale

che l'esempio è un solletico fatale:

l'un nasce ladro e l'altro ladroncello,

né a tutti i prepotenti è ugual destino.

Dove passa la vespa, nel tranello

rimane il moscherino.

 

 




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