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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO QUARTO
    • IV - Il Giardiniere e il Signore
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IV - Il Giardiniere e il Signore

 

Un uom già fu della campagna amante,

mezzo borghese e mezzo contadino,

che possedeva un orto ed un giardino

fiorito, verdeggiante,

recinto intorno da una siepe viva.

 

Colà dentro ogni sorta vi fioriva

d'insalate e bei fiori di mughetto,

e gelsomini e fresca erba cedrina,

per fare a Caterina

il giorno della festa un bel mazzetto.

 

Questa felicità

da una Lepre fu tanto disturbata,

che il nostro galantuomo una mattina

va dal Signor della città vicina

e racconta la cosa come sta.

 

- Questa bestia indiscreta

viene, - dice, - ogni mattina e sera,

si satolla di cavoli e di bieta,

ridendo delle trappole e dei ciottoli,

che perdon contra ad essa tutto il credito.

È un pezzo che la dura questa bega,

e quasi entro in sospetto

che sia folletto questa Lepre o strega.

 

- Anche fosse il diavol colla coda, -

dice il Baron, - lasciate fare a me,

che in due minuti o tre

ve la metto al dover. - Quando? - Dimani -.

 

E come disse, vien colla sua gente,

armi, cavalli e cani,

e, comandando in casa allegramente,

- Compar, - dice al padrone, -

i vostri polli sono grassi e teneri,

facciamo prima un po' di colazione.

 

Dov'è, dov'è la bella padroncina?

Carina, t'avvicina,

quando le nozze? ehi, galantuomo, a questo

giova pensarci e presto.

Mano alla borsa, un genero ci vuole -.

Il buon Signor con tenere parole

la ragazzina fa sedere accanto,

le carezza una mano

e poi pian piano

sale al braccio, le tocca il fazzoletto,

con altre cortesie, da cui procura

difendersi la bella con rispetto.

Il babbo tace e bolle dal dispetto.

 

Già brulica di gente la cucina,

si mangia, si tempesta.

- Questi sono prosciutti della festa! -

dice il Signor. - È vostra cortesia;

se vi piaccion, son vostri. - Grazie, amico,

mandateli, vi prego, a casa mia -.

 

Mangia il Signore e mangia una caterva

di cani e cacciatori e servitori,

tutti animali e gente

a cui non manca per fortuna un dente.

 

In casa del padrone chi comanda

è l'Eccellenza sua, che trinca, abbraccia

e mangia in fin che giunge

il momento d'uscir a dar la caccia.

 

Ora incomincian le dolenti note!

Di corni e trombe scoppia un chiasso tale,

che par quasi il giudizio universale.

Ah povero padron! ah sentieroli,

ah fresche insalatine!

Addio porri, cicorie, addio fagioli,

che fate la minestra così buona!

All'erba, ai fior la caccia non perdona.

 

La Lepre che rifugio

avea trovato all'ombra d'un gran cavolo,

cacciata, tempestata, da un pertugio

della siepe scappò come il diavolo.

Ma il pertugio divenne una caverna,

perché il Signor, che si diverte al ballo,

vuol che si esca di tutti a cavallo.

 

- Gli spassi ecco dei Grandi! - a quella vista

esclama il pover'uomo. In un momento

fecero i cani ed i cavalli un danno,

che certo ugual non fanno

cento lepri in un anno o cinquecento.

 

O stati microscopici,

non cercate arbitrati ai più potenti,

ma gli strappi aggiustatevi da voi.

Se li chiamate prima nelle guerre

li vedrete restar poi per le terre.

 

 




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