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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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VII - Il Cane che porta il pranzo al suo Padrone
d'un bel guardo, ed alla vista troppo raro
Soleva un Can portare in una cesta al collo il pranzo del suo buon Padrone. Per quanto temperante a suo dispetto ei sapesse resistere al boccone, non era un santo padre, poveretto, e nel suo pelo, dite, o gente onesta, se non vi tenterebbe un buon pranzetto... Strano davvero che s'insegni ai cani, ciò che non sanno fare i cristiani.
Andando questo Cane un dì col pranzo, s'incontra in un mastino prepotente che pretende la sua razion di manzo. Ma fece i conti senza l'oste. Il cesto colloca in terra il nostro Cane onesto e si prepara ad una lotta ardente.
Ne nasce un gran fracasso, e chiama il chiasso molti altri cani che andavano a spasso. ad ogni calcio, ad ogni ladreria. Il nostro Can, vedendo ch'eran pronti a sbranarlo quei mostri in cento pezzi, e che il manzo era fritto in fin dei conti, da saggio disse a quella comitiva:
- Amici, andiamo adagio; un po' per uno, dice il proverbio, fa male a nessuno -.
E presa la sua parte, lasciò il cesto agli altri cani che addentâr il resto. In quattro colpi fu tabula rasa. Chi stette peggio fu il Padron di casa.
O città grandi, o piccole città, che mettete il denaro della gente quanto leste a giocar d'agilità: censori, appaltatori e fornitori, e ruban tutti di dentro e di fuori. Se alcun men disonesto e men briccone vuol salvarsi e minaccia di parlare, gli mostran ch'è un minchione. Al consiglio anche lui quindi si arrende, acqua in bocca, rubare fa rubare, e più degli altri prende.
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