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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO OTTAVO
    • XV - Il Topo e l'Elefante
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XV - Il Topo e l'Elefante

 

La vanità, ch'è tutto un mal francese,

fa ch'ogni sciocco e stupido borghese,

un grand'uomo si creda in quel paese.

 

Vani son gli Spagnoli e tuttavia,

per quanto grande il lor difetto sia,

è più che scipitezza una pazzia.

 

L'esempio che vi conto vi dimostra

la boria nostra, la qual su per giù

non vale men di un'altra e non di più.

 

Un Topolin piccino

vide un grosso Elefante gigantesco,

e rise di quel grande baldacchino

pesante ed arabesco,

con tre piani di sopra e una sultana

seduta in mezzo di beltà sovrana,

con cani e gatti e pappagalli suoi,

e con tutta una casa che in viaggio

andava ad un lontan pellegrinaggio.

 

Rideva il Topolin perché la gente

stesse a guardar quel coso stravagante,

più che animale, macchina ambulante.

 

- Bel merito, - dicea, - d'esser sì grosso,

come se il bello fosse in un colosso...

O gente sciocca, ov'è la meraviglia

che ai ragazzetti fa levar le ciglia?

Così piccino come son, un grano

non valgo men di questo pastricciano -.

 

E stava per aggiungere di più

il Topo vanerello.

Quand'ecco sul più bello

un gatto salta giù

e fric... in un istante

mostrò che un Topo è men che un Elefante.

 

 




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