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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO OTTAVO
    • XXV - I due Cani e l'Asino morto
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XXV - I due Cani e l'Asino morto

 

I vizi son fra lor buoni fratelli,

e quando uno si siede

nel nostro cor, si vede

che siedono anche quelli

che van con lor per via,

a meno che la trista compagnia

per ira non si pigli pei capelli.

 

Non così le virtù. Raro si mira

dei grandi affetti in un sol uom lo zelo

temperato con nobile armonia.

L'uno è valente, sì, ma pronto all'ira,

l'altro è saggio, ma l'anima è di gelo.

Fin tra le bestie spesso

vedi accader lo stesso.

Il più fido animal che mai ci sia,

il cane io dico, mostrasi talvolta

anch'esso bestia stolta

 

e piena d'un'ingorda ghiottornia.

 

Due Cani in lontananza un giorno videro

in mezzo al fiume galleggiare un Asino,

che, sospinto dal vento, se ne giva

discostandosi sempre dalla riva.

 

- Amico, - disse l'un, - che l'occhio hai limpido

e più acuto del mio, guarda sul liquido

specchio dell'onda. È un bove od un cavallo? -

E l'altro: - È un buon boccone senza fallo.

 

Ma pigliarlo, barbin, questo è il difficile!

Lunga è la tratta e incontro il vento soffia.

Non ti senti riarso e sitibondo?

Proviamo a ber quest'acqua fino in fondo,

 

finché in secco vedremo della bestia

(superba provvigion) il corpo ghiotto -.

Bevono i Cani e bevi e bevi... bevvero

tanto che punf... scoppiarono di botto.

 

Tal è l'uomo. Se in lui fissa è l'idea,

non c'è cosa impossibile e fallace.

Castelli in aria crea,

e per amor di vane ombre e di gloria

in desideri perde la sua pace.

 

- Oh potessi riempire di ducati

questi miei scrigni! O s'io sapessi almeno

la chimica, la storia,

la medicina, l'arabo, l'armeno!

O arrotondar potessi questi Stati! -

 

Questo è bevere il mar. Ai sovrumani

concetti d'uno spirto vanerello

non bastan quattro corpi ed otto mani.

Se non si resta a mezzo sul più bello,

a compier ciò che logico non è

non bastan quattro vite di Noè.

 

 




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