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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO OTTAVO
    • XXVI - Democrito e gli Abderiti
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XXVI - Democrito e gli Abderiti

 

Sempre in uggia mi fu l'ingiusto e scempio

e temerario giudicar del volgo,

che sol da sé piglia misura e legge

e le cose di false ombre confonde.

Ben ne fece a' suoi l'esperimento

d'Epicuro il maestro, a cui non valse

l'alto saper. Pei piccoli saccenti

della città, Democrito non parve

che un pazzerello... O dèi, quando s'è visto

alcun profeta in mezzo a' suoi? Ma pazzi

eran questi Abderiti il che un messo

mandarono ad Ippocrate, chiedendo

con lettere a quel medico divino,

che venisse a guarir del dotto amico

il malato cervel. - Vieni e vedrai -

dicean gli stolti - vaneggiar la mente

di sì grand'uomo dalla nebbia involta

dei libri, che saria certo men danno

s'ei non sapesse decifrar dei libri

manco i cartoni. Udrai com'egli sogna

di un infinito numero di mondi,

ch'ei forse vede d'altri pazzerelli

come lui popolati. E ancor discorre

d'atomi erranti, poveri fantasmi

del suo cervel che danza, e senza il piede

metter fuori dell'uscio, egli pretende

i cieli misurar, descriver fondo

a tutto l'universo e non conosce

il poveretto il mal che lo consuma.

Una volta ei sapea nelle contese

conciliar le discordie, oggi in se stesso

rinchiuso parla sempre ruminando.

Vieni, o divino medico, o non resta

altra speranza -.

 

Ippocrate alla gente

non crede troppo, ma a trovar si avvia

l'illustre infermo. Ora vedrete quali

incontri giochi spesso la fortuna!

Voglio dire che Ippocrate sorprese

il dotto pazzerel curvo ed intento

all'ombra fresca e d'un ruscello in riva

a ricercar per entro ai laberinti

d'un cervello ove sede abbia ragione,

e dove amor, negli uomini e nei bruti.

 

Molti grossi volumi accatastati

erano in terra, e in suo pensier rapito,

Democrito non vide il suo diletto

amico che venìa. Brevi i saluti

furono e i complimenti, e si capisce,

ché il perder tempo a chi più sa più spiace.

Messi in disparte i frivoli argomenti,

cominciaron i due grandi maestri

a cercar le cagioni alte del Bene,

sull'uom sillogizzando e sullo spirito,

parlando cose che il tacere è bello,

sì com'era il parlar colà dov'era.

 

Giudice cieco qui ti mostra il fatto

il volgare giudizio. E scarsa io presto

fede a quella sentenza che proclama

voce di Dio del popolo la voce.

 

 




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