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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO NONO
    • I - Il Depositario infedele
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LIBRO NONO

I - Il Depositario infedele

Vostra mercè, della Memoria o figlie,

delle bestie cantai l'umili imprese,

né potean procurarmi una più grande

fortuna di più grandi eroi le gesta.

Colle stesse parole onde gli dèi

parlan nel ciel, il Lupo entro il mio libro

sermoneggia col Can che gli risponde.

Nascon diversi eroi. L'uno è solenne

e l'altro è pazzo: ma tra saggi e pazzi

è Follia che trionfa. Ancor io metto

sulla scena e ne traggo un denso coro,

fior di bricconi, ingannatori astuti

e prepotenti e ingrati bighelloni,

sciocchi e striscioni e, se volessi, a mille

i bugiardi di cui trabocca il mondo.

 

- Ogni uom puzza d'ipocrita! - Un sapiente

l'ha detto. - E ver? - S'egli parlar intese

della feccia del popolo, potrei

crederlo un poco e allor saria minore

e sopportabil danno; ma che tutti

grandi e piccini sian bugiardi, a stento

l'inghiotto. O forse è un bugiardone Esopo,

è Omero un bugiardon? Nel dolce inganno

de' sogni loro non risponde il bello

stile dell'arte onde s'infiora il vero?

E l'uno e l'altro su tal libro il falso

non hanno scritto, che dovrebbe eterno

durare e ancor di più, se non assurdo

è il dirlo? A tutti non è dato il dono

di sì belle bugie, ma posson tutti

frodar coll'arte di quel tal... Sapete

la bella istoria? - Orben, statemi attenti:

 

Pria di partir pe' suoi lunghi viaggi,

un Mercante di Persia a un suo vicino

un cento confidò libbre di ferro.

Partì, tornò, poi del suo ferro chiese

al compare.

- Che ferro? - egli rispose.

- Ahimè! fratello, per un forellino

del granaio (e ne ho fatta aspra rampogna

a' miei servi) sen venne un picciol topo,

che rosicchiò tutto il tuo ferro... tutto -.

 

A questo gran miracolo il Mercante

resta di sasso, tuttavia procura

di credere e sen va. Tre giorni dopo

ei fa rapire al suo vicino il figlio.

Lo nasconde ed il padre a un gran banchetto

invita; ma costui piange e lo prega

di piangere con lui, dicendo: - Amico,

d'un caro figlio iva superbo e tutto

il mio cor era in lui; mi fu rapito,

più non è gioia sul mio tetto, oh piangi,

piangi, fratel, l'orribile sciagura! -.

 

Disse il Mercante: - Sul tramonto io vidi

ieri un orrido gufo, che ghermito

il figlio tuo, traendolo pel cielo,

d'un castellaccio fra le vecchie mura

se lo portò.

- Possibile? - interruppe

il mesto padre. - E come può d'un gufo

l'artiglio sollevar d'un corpo umano

il grave pondo? in questo caso il bimbo

strappato all'uccellaccio avria le penne.

 

- Come avvenga non so: ma questo io dico

che l'ho veduto e con quest'occhi miei.

Mi meraviglio che tu possa in dubbio

metter le mie parole. E chi ti prova

che non possa rapir l'ugna del gufo

d'un fanciulletto il tenerello corpo

in un paese dove un topolino

mangia da solo (e non ne crepa) un cento

pesi di ferro? -

Allor comprese il padre

la velata morale e al mercatante

rese il ferro ed al sen strinse il fanciullo.

 

Non altrimenti il lungo alterco avvenne

fra due viaggiatori.

 

Un di costoro,

fabbricator d'iperboli, ogni cosa

vedea per microscopio, il qual giganti

fa comparir la pulce e il moscerino.

A sentirlo, l'Europa era percorsa

da centomila spaventosi mostri,

come vanno di Libia e Senegallo

per i deserti.

 

- Udite, - un narrava, -

ho fin veduto ne' viaggi miei,

un cavolo maggior di questa casa.

- Ed io, - soggiunse l'altro, - una caldaia

più grande anche del duomo.

- Ih, fanfaluche!

- Fabbricata l'avean, - l'altro conchiuse, -

per far bollire i cavoli famosi

di cui tu parli, amico -.

 

Entrambi furono

spiritosi costor, l'uno col gufo

e l'altro colla pentola. Se gonfio

è l'assurdo, è stoltezza opporre a sciocche

ciarle sodi argomenti. Invece ingrossa,

gonfia anche tu la vuota ampolla, e ridi.

 

 




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