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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO NONO
    • V - Lo Scolaro, il Pedante e il Padrone dell'orto
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V - Lo Scolaro, il Pedante e il Padrone dell'orto

 

Un Ragazzaccio allievo di collegio,

vo' dir due volte peste,

citrullo per cagione dell'età

e per il privilegio

ch'hanno i pedanti di guastar le teste,

rubava con discreta abilità

a un povero vicino

i prodotti più belli del giardino.

 

In primavera risplendea dei doni

di Flora più superbi il campicello,

e Pomona serbavagli i più buoni

frutti d'autunno, dando agli altri il resto.

Ebbene il ladroncello

rovina e ruba i primaticci e schianta

i rami della pianta,

distruggendo coi fiori la speranza.

Allor corre il padrone e irato canta

al maestro una buona rimostranza.

 

Che fa costui? Volendo che l'esempio

fosse d'avvertimento

anche agli altri bricconi, ne raccoglie

nell'orto circa un cento,

e citando Virgilio e Cicerone,

sfodera tutto il vecchio zibaldone

della sua scienza logica morale,

e tanto predicò quel don Fagiuolo,

ch'ebbero i cento la comodità

di saccheggiare in cento luoghi il brolo.

 

Non c'è nulla che più mi faccia nausea

d'una sapienza insipida ed oziosa,

che blatera e non sa nemmen perché.

Non conosco una bestia più noiosa

d'uno scolaro (e ne conosco tante)

se pur non è il pedante.

Li tenga Iddio sempre lontan da me.

 

 




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