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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO NONO
    • XVIII - Il Nibbio e l'Usignolo
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XVIII - Il Nibbio e l'Usignolo

 

Dopo che un Nibbio, ladro patentato,

ebbe assai schiamazzato ed eccitato

dei ragazzi lo stuolo,

mise gli artigli in corpo a un Usignolo.

 

Questo araldo gentil di primavera

della sua vita a lui chiedea perdono,

dicendo: - E che ti giova, anima fiera,

mangiar un animal ch'è tutto suono?

 

Se attendi un poco, a te cantar saprò

la storia e il forte amore di Tereo...

- Tereo? che roba è ciò? forse un cibreo

che piace ai Nibbi? - il Nibbio dimandò.

 

- Tereo, - così l'Usignol cantarella, -

fu un re del qual ebbi a sentir gli ardori,

ed io ne canto una canzonbella,

che ovunque ha fatto palpitare i cuori.

 

- È cosa, - disse il Nibbio, - che consola

sentir a pancia vuota un'arietta.

- Ai re non spiacque la mia storia. - Aspetta

di contarla a' tuoi re questa tua fola.

 

Io me ne rido e sto al proverbio vecchio,

che dice: pancia vuota non ha orecchio.

 

 




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