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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO DECIMO
    • I - I due Topi, la Volpe e l'Uovo
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LIBRO DECIMO

I - I due Topi, la Volpe e l'Uovo

(Sermone alla signora de La Sablière)

 

A me facil saría tesser di lodi

un serto al vostro nome, Iride bella,

se voi di lodi e di profano incenso

non foste disdegnosa, in ciò lontana

dall'altre belle, cui giammai non sazia

cibo quotidian di freschi onori.

 

Non vidi io mai le donne al dolce suono

delle lodi cullate addormentarsi,

né le biasmo perciò. Ben le somiglio

invece ai prenci della terra e ai Numi.

Quel nettare, che ognor fu dai poeti

lodato e che la tazza empie di Giove

e del quale s'inebriano i potenti

dèi della terra, è questa a voi non grata

lode, o gentil, e così grata altrui.

 

Altre gioie compensano la vostra

ambizïon, e son colloqui e dolci

amicizie ed incontri e cento e cento

argomenti graziosi, in cui si piace

il vostro spirto, al profan volgo ignoti.

Scherzi, dottrina, fantasie, nonnulla,

tutto scende opportuno e fa smaltato

come un prato di Flora il parlar vostro,

in ciò simile all'ape industriosa,

che si riposa sui diversi fiori

ed egualmente trae da tutti il miele.

 

Non vi spiaccia se anch'io, dietro l'esempio,

vado meschiando alle innocenti fiabe

un rigo di sottil filosofia

oggi di moda, molto ardita e piena

di una nuova attrattiva. O forse un suono

ne venne al vostro orecchio ?

È la profonda

dottrina che a una macchina riduce

la vita umana e che d'arbitrio sfronda

e di giudizio gli uomini, e non lascia

che un corpo vuoto senza affetto e cuore.

Tal sen vive e con passo egual, ma cieco,

e senza scopo l'oriol cammina,

di ruota in ruota, fin che squilla l'ora

come vuole il congegno. A ciò la Scienza

lo spirito del mondo oggi riduce.

E come l'oriol, dicono i saggi,

l'animal si commuove e va diritto

ove lo spinge l'impression del senso,

non per libero arbitrio, ohibò, ma tratto

dalla necessità dura e impassibile,

che senza voglia pei diversi stati

dell'amor lo trascina e dell'affanno,

della tristezza, del piacer, dei forti

dolori e per le varie altre vicende,

che affetti chiama la volgar sentenza.

 

Ma voi, gentil, fra l'oriolo e il vostro

cuore assai ben distinguere sapete,

e non vi allaccia dei moderni sofi

la facile dottrina. A noi maestro

è il divino Cartesio, a cui gli antichi

siccome a Nume avrian sacrata un'ara;

Cartesio, che fra gli uomini e i celesti

siede nel mezzo, come stanno in mezzo

tra gli uomini e gli allocchi altri sublimi

e grossi ingegni. A voi così ragiona

quest'alto mio maestro e mio autore:

 

Soltanto l'uom fra tutti gli animali,

che dalla mano uscirono di Dio,

pensa e sa di pensar”. Abbiano i bruti

immagini e pensier, ma non avranno

l'arte che piega sul pensiero istesso

e sugli oggetti del pensiero il raggio.

Ma Cartesio dirà con viso aperto

che tutto è spento del pensier il lume

negli animali e conveniam con esso,

sebben non manchin numerosi esempi

a provare il contrario. E non vediamo

nei boschi il vecchio cervo, a cui sul capo

cresce per gli anni altissima la selva,

quando ferve la caccia e suona il bosco

d'urla e di corni e va sbandato il gregge,

spingere in bocca agli anelanti cani

un giovine cerbiatto, onde sviata

sia la caccia da sé? Vedi malizia

per salvare la pelle! E i mille giri,

i salti, i sotterfugi, e non son dessi

strattagemmi di guerra e non indegni

d'un grande capitano e di fortuna

più glorïosa? ahimè, viene la morte

ed è lo strazio delle palpitanti

carni agli eroi l'estremo funerale.

Così, se vede i piccoli in periglio,

la pernice e coll'ali tenerelle

impotenti a fuggir, finge pietosa

d'esser ferita e trascinando l'ala

sul suol, attira i cani e i cacciatori,

sviandoli, finché dei figlioletti

sia salva la famiglia. Indi ad un tratto

spiccando il vol, addio... ride e saluta

l'uom che col guardo inutilmente spia.

 

Nella region del polo gli abitanti

selvatici, ignoranti

vivono ancor coi modi rozzi e semplici

dei tempi primitivi.

Ma gli animali, che dimoran ivi,

son ingegnosi, e sanno

con argini frenar l'acque correnti

e collegar le rive dei torrenti.

Questi edifici, in cui si alterna il legno

a strati di cemento,

ponno all'acqua resistere ed al vento.

Ogni castor col natural ingegno

ivi si presta alla comune impresa,

i vecchi ed i maestri

attenti all'opra e i giovini più destri

all'opra, alla difesa.

In paragon di questo anfibio senno

di Platon la repubblica

famosa è al viver bene un picciol cenno.

Le case alte e palustri

questi animali industri

elevano l'inverno, e ponti fanno

coll'arte lor, che gli uomini non hanno.

Non sanno inver quei rozzi Samoiedi

che traversare a nuoto

dove per l'acqua non si passa a piedi.

 

Ma a rimirar l'industria ed il lavoro

di queste bestie ah! non si può, no, credere

che manchi dello spirito al castoro.

Ma c'è di più, Signora, e ciò ch'io conto

l'udii narrar da un re,

da un re del Nord, figliuol della Vittoria

di cui forse non c'è

baluardo maggior contro il pagano

indomito ottomano:

Sobieschi io dico, onor della Polonia,

e parola di re degna è di storia.

 

Vivon certi animali, egli mi disse,

da vecchio tempo in sanguinose risse

sempre fra lor, che della guerra il foco

da padre in figlio insiem col sangue ispirano.

Sono bestie volpine

che della guerra il gioco

conosconobene e la faccenda,

che non ne sanno gli uomini altrettanto,

per quanto abbiano il vanto

(e specie al tempo nostro) e l'arti fine

di saper ben uccidersi a vicenda.

 

Avanguardie, spïoni, sentinelle,

imboscate conoscono ed insidie

e tutte quante della strategia

le più maligne e furbe maccatelle,

arte infernale e ria

che degli eroi fu madre

e fia creduta figlia del demonio.

Di queste bestie a celebrar le squadre

non basterebbe se tornasse Omero

dall'Acheronte nero.

 

Oh! s'ei tornasse e seco anche tornasse

Cartesio, d'Epicuro alto rivale,

a contemplar queste vicende e i giochi,

che dietro al solo istinto naturale

sa compier l'animale! “A noi dimostra

l'esperienza nostra e la natura

che la memoria al corpo si collega,

e questa in ogni caso il bruto impiega

per norma e per misura.”

 

Iride bella, se a cercar vi piace,

voi troverete che il pensier discopre

spesso come in rinchiuso magazzino

altri pensieri in mente accumulati,

e che un oggetto, ove discenda e tocchi

un'idea, l'altre tutte ecco si svegliano

e balzano da sé senza il bisogno

che le guidi il pensier. Questo è l'Istinto,

ma l'uomo ha pure Volontà che impera.

Io parlo, io rido, io muovo ambo le gambe,

io sento in me lo Spirito che regge

e che del corpo apre i congegni e chiude,

sento un poter dal corpo mio distinto

che se stesso comprende, anzi comprende

più sé che non la macchina mortale

alla quale comando arbitro e duce.

Or se voi mi chiedete, Iride bella,

come sia, non lo so. Vedo l'ordigno

obbedire a una man, ma non ritrovo

la man che muove il sole e l'altre stelle.

Forse uno spirto angelico si sposa

a queste immense moli ed è lo spirto

stesso onde vive e palpita e si muove

il mortale quaggiù, misteriosa

forza mal nota anche a Cartesio (in questo

campo siam tutti ciechi) e solamente

palese all'uomo, se la cerca in Dio.

 

A me basta, Signora,

saper che questo Spirito

in corpo agli animali non dimora.

È l'uom il singolare

e sacro altare in tutto l'universo.

Sta ben, ma di converso

ha tanta l'animal vitalità

che l'albero non ha.

 

Andavano due Topi per il pranzo,

quando trovano un ovo sulla via.

Un ovo basta ai topi

che non potrebber divorare un manzo,

e pieni d'appetito e d'allegria

stanno per rosicchiar ciascuno l'ovo

dalla sua parte, quando

arriva un terzo incomodo, la Volpe.

Come salvar e riparar nel covo

quell'ovo benedetto?

Farne un pacchetto, prenderlo, portarlo,

girarlo, trascinarlo?

Sta bene, è presto detto,

ma poi vi aspetto a farlo.

 

Che fanno i Topi? Mentre ancor la trista

feroce camorrista era lontana,

per guadagnar la tana

l'un d'essi sulla schiena si sdraiò,

e l'ovo strinse in un soave amplesso,

e dopo un po' d'affanno

per la coda il secondo lo tirò.

Or voi ditemi adesso

che queste bestie spirito non hanno.

 

Ed hanno forse più coscienza e senno

i fanciulli ne' lor anni più belli?

O non vediam che pensano e non sanno

pur di pensar?

Ond'io sarei condotto

a immaginar nei bruti (ove non possa

supporre una ragion) più che un istinto.

Per me, distillerei qualche sottile

sostanza, assai difficile, Signora,

a concepirsi dalla mente umana,

un'essenza di mònadi, un estratto

di luce pura, un non so che più vivo,

più rapido del foco.

Se dal tronco

nasce la fiamma, e non potrìa la fiamma

chiarificata ancor dare un'idea

dell'anima immortal? E non si vede

splender l'or tra le viscere del piombo?

Con questa essenza io renderei la bestia

atta molto a sentir e un poco ancora

a giudicar, ma non di più, né sempre

questo giudizio in lei, come dimostra

la più dotta bertuccia, è a fil di piombo.

 

All'Uomo, all'Uomo solo io la potente

forza darei che da ragion deriva,

due volte assai preziosa ove la guardi

sotto duplice aspetto.

Èvvi nell'Uomo

un'anima comune a tutti quanti

sian pazzi o savi, sian fanciulli o vecchi,

tutti animali graziosi e benigni

che con tal nome son ospiti in terra.

 

Ed èvvi una seconda anima santa

nata a crear l'angelica farfalla,

un divino tesor che Dio dispensa

con parsimonia e che ci porta in cielo

tra le sfere rotanti. Entra e si snoda

senz'angustie quest'anima nei corpi,

e per quanto principio abbia nel tempo,

eterna vive, e non mi sembra assurdo.

Fin che questa del ciel candida figlia

danza nel corpo tenerello, è lume

che poco spande di sua luce intorno;

ma quando è la ragion forte al giudizio,

entra questo divin raggio di mente

per l'universo e la materia penetra,

che sempre involgerà l'altra più rude

anima sensual serva a natura.

 

 




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