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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO DECIMO
    • II - L'Uomo e la Biscia
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II - L'Uomo e la Biscia

 

Un Uom vide una Biscia

e disse: - Un beneficio, s'io l'uccido,

farò di certo a tutto l'universo -.

E l'animal perverso

(dico la biscia, e prego non confondere

coll'uom, che è molto facile)

è preso, dentro un sacco rinserrato

e colpevole o meno, io non decido,

a morte condannato.

Per dargli tuttavia qualche ragione

l'Uomo gli sfoderò questo sermone:

 

- O simbol degli ingrati, è verso i tristi

stoltezza la pietà.

Or muori, e il tuo velen più non contristi

la mesta umanità -.

A questo dir in sua voce dolente

risposegli il serpente:

- Ohimè! se tu condanni quanti sono

al mondo ingrati, a chi darai perdono?

A te, fratel, tu stesso

colle parole tue muovi il processo,

ond'io ritorco in te quegli argomenti

che tu per gli altri inventi.

I giorni miei distruggere tu puoi,

perché così conviene

solo al tuo bene ed ai capricci tuoi.

L'uomo comanda e regge

“e libito fa licito in sua legge”.

Ma lascia ch'io dichiari coll'estreme

parole mie, che il serpente non è,

ma ben è l'uomo degli ingrati il re -.

L'altro rimase come l'uom che teme

a questo dire, e quindi a lei rispose:

- Sono ragioni insipide e noiose

che potrei tagliar corto, e tuttavia

rinuncio al mio diritto e vo' che sia

nell'affare alcun giudice invitato -.

E il rettile: - Accettato -.

 

Una giovenca vien chiamata in mezzo,

ascolta, poi risponde:

- La Biscia n'ha ben donde

se si lamenta, è chiara come il sole.

Quando ho veduto il prezzo

io de' servigi miei, da cui l'uom suole

trarre ogni giorno il vitto?

Sempre per lui, tutto per lui, non mai

per me, pei figli miei qualche profitto.

Col latte e coi vitelli

egli ingrassò, si riempì la mano,

io lo mantenni sano

contro i danni del tempo alle mie pene

ei deve, se poté

vivere sempre allegramente e bene,

ed ora, ed ora, ahimè,

perché son vecchia, senza un fil di fieno

mi lascia in un cantuccio. Oh dato almeno

mi fosse di brucar quattro fogliette

nel prato! no, mi tiene

legata alle catene.

L'avrei creduto verso me più pio,

se stato fosse un anima di serpe.

Ho detto quel che penso e chiaro, addio -.

 

Poco contento l'Uom della sentenza,

allor disse alla Biscia:

- E credi a questa scema,

a una vecchia bisbetica che trema

nel cervello? Sentiamo un poco il bue.

- Sentiamo pure le ragioni sue, -

a lui rispose l'animal che striscia.

 

Sen viene il bove lento e dopo un lento

e lungo ruminar apre la bocca,

e dice che da molti anni gli tocca

d'ogni fatica il ruvido tormento,

eterna litania di tutti i mali,

sempre a tirar costretto

ciò che Cerere all'uom, agli animali

offre ne' campi suoi.

Qual era il premio riserbato ai buoi?

Botte a bizzeffe e assai poco rispetto,

finché vecchi e scannati sull'altare

andavan del lor sangue ad implorare,

a titol quasi d'onorificenza,

pei peccati dell'uomo l'indulgenza.

 

- O noioso, va' via, declamatore! -

ancor grida il padrone, -

e credi forse colle parolone

farti del tuo signor l'accusatore?

Non ti conosco, stupido, ma questo

albero qui presente

dica da tronco onesto

quel che pensa di me sinceramente -.

 

Ma l'albero chiamato a dire il vero

fu ancora più severo.

Egli era contro il caldo e contro il vento

e contro l'uragano un buon ombrello.

Egli era de' giardini l'ornamento

e nei campi non sol d'ombre cortese,

ma ancor di frutti saporito e bello.

Ebben, per sua mercede un rozzo arnese

ecco l'abbatte al suolo!

Invan all'uomo è l'albero gentile

di fior nel dolce aprile,

invano a lui di pomi empie il cestello.

 

Invan d'estate le sue foglie ei spiega

e nell'inverno allegra il focherello.

- De' miei difetti mi corregga pure

l'uomo, ma non adoperi la scure,

e non tronchi la vita a cui mi serba

natura, colla sua mano superba -.

 

Irato l'Uomo ch'altri lo confonda

volle la lite vincere per forza,

e disse: - Sciocco me, che ascolto queste

fanfaluche moleste! -.

Nella vendetta il suo corruccio smorza,

battendo il sacco contro ad una grotta,

infin che il serpe ebbe la testa rotta.

 

 




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