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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO DECIMOPRIMO
    • III - Il Castaldo, il Cane e la Volpe
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III - Il Castaldo, il Cane e la Volpe

 

Si narra che una Volpe delle fini

solesse venir spesso per rubare

dentro il cortile d'una fattoria.

(Lupi e Volpi non son cari vicini

e accanto a casa loro, in fede mia,

andrei malvolentieri a fabbricare.)

 

Venìa la Volpe, ma con suo dispetto

ai polli non potea fare il colpetto.

Tra il pericolo posta e la gran fame

di dentro si rodeva.

- Il padrone, - diceva, - il vecchio infame

dell'arti che ogni notte invento ed uso,

e delle mie fatiche

seguita sempre a ridermi sul muso.

E mentre io corro e fuggo

e di fame mi struggo,

egli cangia i capponi e le pollastre

in soldi buoni e in piastre.

Mentr'ei ne tiene una fila impiccata,

io vecchia giubilata

salto di gioia e ballo

se acciuffo un vecchio gallo.

Perché dunque chiamasti, o sommo Giove,

la figlia tua di volpe alla missione?

Ah! giuro per Plutone

e per il ciel che ci vedremo altrove -.

 

Questo premendo in cor odio tremendo,

mentre va di papaveri spargendo

Morfeo l'umida notte,

mentre il padron dormia,

e dormivano in casa i servi, il cane,

polli, galli, capponi in compagnia,

nessun s'accorse - e fu non poco errore -

che aperta era la porta per di fuore.

 

La Volpe gira tanto, che alla fine

trova la breccia aperta.

Entra e ti fa tal strage di galline,

che tutta a sangue va

la povera città.

Allo spuntar del sol

oscene salme gli accorrenti videro

ed ossa e carni palpitanti al suol.

 

A tanto orror poco mancò che il Sole

non tuffasse i cavalli in fondo al mare.

Oh avessi le parole

di colui che d'Apol l'ira descrisse,

quando tutto l'esercito trafisse

dei Greci e fe' volare le saette

di fatal morbo infette,

onde uccise le schiere a cento a cento

in una notte il divo arco d'argento!

 

Tal intorno alla tenda

fe' di pecore e buoi la strage orrenda

il furibondo Aiace,

credendo vendicar sugli animali

l'ingiurie dei rivali

che negate gli avean l'armi di Achille.

Questa Volpe di lui non meno audace

abbatte, uccide, piglia

e i miseri scompiglia.

 

Quando venne il padron, secondo il solito

prese a gridar coi servi e poi col Cane:

- O bestia maledetta, o bestia stupida,

buona a mangiar del pane,

perché non abbaiar, non dare un segno?

 

- Se voi, signori miei, - dice la bestia, -

padrone e servitori, a cui conviene,

invece di dormir come di solito

vi foste tolta un poco la molestia

di chiuder l'uscio bene,

avreste fatto meglio. A me che importa

(che senza guadagnar ci perdo il sonno)

se chiusa oppure aperta sia la porta? -

 

Questo discorso tutto a fil di logica

avrebbe fatto onore

non solo a un can, ma a un dotto professore.

Ma siccome non era infin che un cane,

in mezzo lo pigliarono

e finiva il meschin di mangiar pane.

 

Io parlo a te, buon padre di famiglia

(onor che non t'invidio),

guarda cogli occhi tuoi

ciò che salvar tu vuoi.

Non credere che mentre dormi in letto

altri chiuda per te l'uscio e l'armadio.

Se proprio la tua casa ti sta a petto,

chiudi gli occhi per l'ultimo e procura

di non fare mai nulla per procura.

 

 




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