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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO DECIMOSECONDO
    • XII - Il Re, il Nibbio e il Cacciatore
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XII - Il Re, il Nibbio e il Cacciatore

(Al principe di Conti)

 

Poiché son buoni, buoni desiderano

gli dèi che siano in terra i re.

Non perdonare, ma sol di fulmini

andar superbi santo non è.

 

Questa è legge per voi, Principe, in cui

non nasce quasi che già vinto muore

ogni corruccio. In ciò più che il Pelide

voi siete grande, il qual fu meno eroe

quel che schiava rese l'alma all'ira.

Di questo nome è sol degno colui,

che come già nell'aurea età, di mille

benefici beata empie la terra.

Pochi nascono grandi in questa nostra

umile etade, ed è sol grato il mondo

del mal che i grandi agli uomini non fanno.

Non che seguir questi comuni esempi,

per mille generosi atti, o Signore,

avrete più d'un tempio ove d'Apollo

del vostro nome suonerà la cetra.

Poi che sarete un secolo rimasto

nell'amplesso d'Imene in mezzo a noi

(né vuole oltre i cent'anni il desiderio

rimanere quaggiù) entro il palagio

andrete ove vi attendono gli dèi.

Imene intanto co' suoi dolci affetti

compone a voi corona ed alla sposa,

qual meritate, e qual possono i tempi

concedere quaggiù. Meno non vuole

l'alta bellezza di colei ch'è vostra,

né meno il valor vostro, onde nei primi

anni, senza rival, vi colma il cielo.

Nel suo spirto regale essa congiunge

e perfeziona ogni celeste incanto,

quel ch'è degno d'amor e in un di stima.

Ma per non dispiegar oggi ai profani

l'intime gioie, qui m'arresto e passo

a rimar quel che fece un uccellaccio.

 

Da vecchio tempo possessore un Nibbio

del suo bel nido, in mano

un giorno cadde a un Cacciator. Costui

presentasi al Sovrano

e pensa fargli un don degno di lui.

Ma l'uccellaccio, giunto innanzi al re

(se pure il fatto apocrifo non è),

sul naso gli saltò

coll'unghie e lo graffiò.

 

- Che! che! graffiar sua Maestà? Che caso!

Non aveva ei corona e scettro in mano? -

Che fa lo scettro e la corona? il naso

d'un re val quello d'ogni cristïano.

Corre, grida la gente

e si agita la corte,

ma impassibile il Re si mostra e forte.

Che strilli un re vi par forse decente?

 

Sopra quel naso lo sfacciato uccello

come nel proprio nido si accovaccia;

invan grida il padron e col zimbello

cerca attirarlo e invano lo minaccia.

Ridendosi di lui, dell'altra gente,

avresti quasi detto

che s'era persuaso

il Nibbio maledetto

di passar la sua notte dolcemente

su quella sacra maestà di naso.

 

Quando alfin si risolse e prese il volo,

- Lasciatelo partir, - disse il Sovrano, -

e parta anche costui, ma senza duolo.

Ognun fa come può, da nibbio in nibbio

e da villan villano.

Non resta dunque a me

che d'operar da re -.

 

Ammirano ministri e cortigiani

quella bontà che imitan così poco.

Quanti sono anche i re di questi tempi

ch'aman seguire i generosi esempi?

Il Cacciator partì, lieto che in gioco

finisca la faccenda, ed impararono

uccello e pastricciano

ch'è bene gl'illustrissimi

padroni riverirli da lontano.

Del resto io riconosco

ch'eran felici, se cresciuti liberi

non conoscean che gli uomini del bosco.

 

Nacque Pilpay che questa istoria scrisse,

sul Gange e sempre in quel paese visse

ove dell'animal sacra è la vita.

Nessun mortal, nessun osa dei re

spargerne il sangue e dicono il perché:

forse lo spirto egli è di qualche principe

che seme ad Ilio fu di grandi eroi,

ciò ch'egli fu non può diventar poi?

Secondo quel che predica Pitagora,

in un cogli animali cangiam noi,

oggi scorpioni od uomini

diman pesci o volatili

che solcan l'aria... e creda chi vuol credere.

 

Del Nibbio, o falsa o vera

che sia la bella favola,

la contan pure in quest'altra maniera.

Un falconier che preso aveva in caccia

un Nibbio (uccel difficile a pigliare),

al re ne fece dono,

come si fa colle cose che sono

più peregrine e rare.

Prender un nibbio vivo

è il non plus ultra per un falconiere,

e capita di rado di vedere.

 

Pien di smania e di zelo il Cacciatore

come non fu giammai

si mette in mezzo ai cortigiani e spera

trovar la maniera

di far la sua fortuna collo strano

uccello sulla mano.

Ma l'animal selvaggio, che non è

abituato agli usi del paese,

cogli artigli di ferro il naso prese

del suo padron e il viso gli graffiò.

- Ahi! ahi! - questi gridò.

Ridono i cortigiani e ride il re.

 

Il riso fa buon sangue e dico il vero

che non avria ceduta la mia parte

nemmen per un impero.

Che un papa sappia ridere

in fede mia non giuro,

ma un re col viso oscuro,

che storcere la bocca mai non sa,

mi fa proprio pietà.

 

Piacer dei Numi è il ridere,

e in mezzo al grave affanno,

che gli affari del mondo in ciel gli dànno,

ride il buon Giove e ridono

con lui tutti gli dèi che intorno stanno.

Così quel che zoppetto zoppino

venne col fiasco in mano

il dio Vulcano,

si sfasciò dalle risa, a quel che narrano,

papà Giove divino.

 

Lasciamo questa storia

e se gli dèi fecero bene o male:

e invece, della favola

tiriamo una morale:

ed è che fra i viventi

il numero maggior fu sempre ed è

dei falconieri sciocchi, che dei re

pietosi ed indulgenti.

 




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