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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO SECONDO
    • XVII - Il Pavone e Giunone
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XVII - Il Pavone e Giunone

 

- Gran Dea, - (così si narra che un Pavone

dicesse, querelandosi, a Giunone), -

m'hai dato un canto ch'è una stonatura,

un canto vero orror della natura.

 

L'usignol, un così vile

uccellin, invece ha un canto,

che a sentirlo è un dolce incanto,

tanto è flebile e gentile -.

 

A lui Giunon, dei gangheri un po' fuori,

così rispose: - E può nutrir nel seno

gelosa invidia per un usignolo

una bestia che par l'arcobaleno?

Tanto ricca di luci e di colori,

che sol pavoneggiandosi, dispiega

una coda sì splendida, ch'è meno

d'un orefice bella la bottega?

Non c'è bestia, allo stringere del conto,

che ti possa in beltà stare a confronto.

 

Fecer gli Dèi le bestie di maniera,

che ognuna avesse qualche qualità:

è leggier il falcon, l'aquila fiera,

a chi gran corpo, a chi valor si dà,

se l'uno o l'altra gracchia,

il Corvo serve pel cattivo augurio,

e pel tempo cattivo la Cornacchia.

Tu fa' che a lamentarti più non t'oda,

o ti strappo le penne della coda -.

 

 




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