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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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VI - L'aquila, la Scrofa e la Gatta
Sulla cima d'un vecchio albero il nido l'Aquila aveva. Ai piedi era una Scrofa coi cari figli, ed una Gatta in mezzo. Vivean da un pezzo le tre madri e i figli in dolce accordo, allor che la maligna Gatta con arte insidiosa: - Amica, - disse un giorno che andò la sua vicina del terzo piano a visitar, - non vedi come col grifo eternamente scavi le radici dell'albero laggiuso la sozza bestiaccia? Ahi! morte a noi, o almeno ai figli nostri (che è tutt'una per il cor delle madri) essa prepara, perché divelto andrà dalle radici il tronco e condurrà nella rovina i figli nostri, a lei tenero pasto.
La lor morte è sicura, e me felice ancor nel mio dolore, ove men resti di tanti un solo a raddolcirmi il pianto! -. Ciò detto uscì, lasciando alto spavento nella casa dell'Aquila. Discende quindi la trista e va dove la Scrofa fresca di parto si giacea coi figli. - O mia buona comare, - in un orecchio le susurra, - guardatevi, vi supplico, d'uscir di casa, o l'Aquila sui figli vostri, vi avverto, piomberà. Non dite ch'io ve l'ho detto, o quella scellerata farà sopra di me la sua vendetta -.
Poi ch'ebbe seminato astutamente nell'altra casa l'odio ed il sospetto, quatta la trista si rinchiude in casa. Da quel giorno né l'Aquila il suo nido, né la Scrofa la tana osano un solo momento abbandonar, pronte, ostinate alla difesa della cara prole; o sia che questa all'altra una rovina appresti, o quella un improvviso assalto. Ahi sciocche entrambe! Sprovveduti i figli del consueto cibo, a lor fu primo carnefice la fame. Ad uno, ad uno li videro morire a far più grasso dei mici il desinar. Della suina ed aquilina gente altro che l'ossa più non rimase e poche penne al vento.
Non v'è mal che non sappia una maligna lingua con velenosa arte produrre. Di quanti danni scaturir dal vaso di Pandora, per me la Furberia tengo il più tristo, ed anche il meno indegno che sempre l'abbia in grande obbrobrio il mondo.
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