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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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VII - La Scimia e il Delfino
Era fra i Greci usanza e Cani e Scimie di condur sui mari per gioco ai marinari. Accadde che un navilio un dì con questa bella comitiva non lungi dalla riva di Atene naufragò.
Tutti morti sarian, se in quel momento un buon Delfino (il qual secondo Plinio ha per gli uomini un certo sentimento) non ne traeva alcuni in salvamento, fra gli altri anche una Scimia che in groppa gli saltò.
Ingannato il Delfin dalla sembianza, accolse il Bertuccione con tanta gravità, che in lontananza parea veder l'imagine di Arione.
- Sei tu d'Atene? - il buon Delfin dimanda, mentre al porto si avvia. - D' Atene per servirti, - a lui la Scimia risponde, e per far grossa la bugia: - Son molto conosciuto alla città, - soggiunge, - e conto assai fra quelli della prima nobiltà: posso raccomandarti ad un cugino ch'è giudice di Stato.
- Ti son molto obbligato, - risposele il Delfino, - e allor, suppongo, ti sarà presente anche il Pireo. - Cospetto, egli è dei prossimi illustri miei parenti il più parente -.
Quel brutto bertuccione aveva il torto di confondere un uomo con un porto.
Pazienza, ma conosco ancor dei musi, forse di lui più belli, che discorron di tutto ad occhi chiusi e cambian le montagne in fiumicelli.
Quando il Delfin si accorse a qual bel tomo avea prestato il dorso, me lo tuffò nel mar e il suo soccorso offerse a un galantuomo.
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