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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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XIII - Il Cavallo che volle vendetta dal Cervo
Non sempre i cavalli portaron la briglia, ma quando pascevasi l'umana famiglia di ghiande, i cavalli si videro e gli asini andar per le selve, com'oggi le belve.
A quei tempi erano ignoti tanti basti e tante selle, e predelle e ferri e maglie da battaglie. E non c'era l'abbondanza delle splendide carrozze su cui vanno oggi le belle alla danza, alle feste, ed alle nozze.
Il Cavallo col Cervo ebbe contesa, e non potendo vincerlo nel corso, all'Uomo fa ricorso, perché l'aiuti a vendicar l'offesa.
L'Uomo gli salta in groppa, e dato un freno da rodere al protervo, sì lo spronò, che finalmente il Cervo nel corso venne meno.
Rivolto all'alleato: - Grazie, - dice il Caval non troppo saggio, - permetti ch'io ritorni ancora al prato, albergo mio selvaggio -.
- Scusami, amico! - a lui l' altro rispose, - ho fatta una scoperta, che servir mi potresti in varie cose: talché non ti conviene l'aria aperta.
Resta con me: la passerai non male sprofondato in un morbido giaciglio -. Comprese allora il povero animale quanto pazzo era stato il suo consiglio.
Che giova il ventre pieno senza la santa libertà? Già pronta era la stalla e preparato il fieno, e ancora adesso il suo peccato sconta.
Saggio chi sa dimenticar l'offesa. È la vendetta un tristo godimento, se tu la compri d'un piacere a spesa, che degli altri piaceri è il condimento.
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