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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO SESTO
    • XIX - Il Ciarlatano
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XIX - Il Ciarlatano

 

Sempre il mondo fu pien di vendifrottole,

che van spacciando le più strane iperboli.

L'uno sul palco bravar osa il diavolo,

e l'un ti stampa sopra un cartellone

ch'egli ti dà dei punti a Cicerone.

Un di costor solea dare ad intendere

di possedere l'arte assai difficile

di render dotti i più massicci zotici.

- O contadino o tanghero ignorante,

in breve tempo io ve lo cambio in Dante.

 

- Signori sì, - dicea, - datemi un asino,

un asino ferrato ed io più classico

vel do di quanti sono all'Accademia -.

Udito questo, un re di buon umore

mandò a cercar del grande professore.

 

E gli disse: - Dottore eccellentissimo,

ho nelle stalle un asinel d'Arcadia,

che voglio addottrinar nella retorica.

- Benissimo, - risposegli il giullare, -

Vostra Altezza non ha che a comandare -.

 

Il re gli fa pagare uno stipendio,

a patto che in dieci anni su una cattedra

ei mettesse la bestia atta a discutere.

Che se mancasse all'obbligo annunciato,

sarebbe in luogo pubblico impiccato.

 

E sarebbe impiccato in luogo pubblico

spacciatamente e senza cerimonie

con appesa alla schiena la retorica,

ch'ei va vendendo come roba onesta,

e con orecchie d'asin sulla testa.

 

Un cortigian, ridendo: - In man del giudice, -

gli disse, - ti vedremo a tempo debito.

E dev'esser stupendo lo spettacolo

d'un uom sì dotto e di cotanto peso

che danza al vento ad una corda appeso.

 

Quando sarai nell'oratorio, un tenero

discorso in bello stil cerca di stendere

coll'arte bella delle tue metafore,

classico testo che potrà servire

ai falsi Ciceroni in avvenire.

 

- Dieci anni? eh, eh!... prima che scada il termine,

saremo morti il re, l'asino od io, -

rispose il ciarlatano e con giudizio. -

Per quanto non ci manchi il ben di Dio,

e si mangi e si beva di gran gusto,

su tre, in dieci anni, morir uno è giusto.

 

 




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