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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO SETTIMO
    • IV - L'Airone
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IV - L'Airone

 

L'Airon dal lungo collo e dal più lungo becco,

che sta su gambe lunghe, a spasso iva nel secco

d'un torrentello e a riva;

come nei giorni belli erano l'acque chiare

e i miei dolci carpioni vedevansi a guizzare

coi lucci in comitiva.

 

Venian tanto dappresso, che avria potuto al solo

mover del becco, e come se li pigliasse a volo,

mangiarseli in buon'ora.

Ma volle invece attendere d'aver più fame. Assai

egli era in ciò metodico e non usava mai

mangiare fuori d'ora.

 

Tornato pien di fame più tardi sulla sponda,

non vide altro che tinche a diguazzar nell'onda

e fece il disgustato,

così come dicesse: Di tinche son già sazio.

Egli era come il topo, di cui racconta Orazio,

d'un gusto delicato.

 

- Di tinche a me? - diceva. - Un così rozzo pasto

non piglia un Airone per farsi il sangue guasto -.

Vedendo poi dei ghiozzi

- Nemmen per questi, - aggiunse, - s'incommoda un par mio

a spalancare il becco, e non pretenda Iddio

ch'io questa roba ingozzi -.

 

Ma ben dovette aprirlo per minor prezzo, allora

che pesci non si videro nell'acqua della gora.

La fame non si placa

col fumo e dir non basta: Io sono un Airone.

Aggiunge alfin la favola che parvegli un boccone

squisito una lumaca.

 

 




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