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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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VII - La Corte del Leone
Volendo un dì conoscere Sua grande leonina Maestà a qual razza di sudditi gli è dato comandar, ordine dà a tutti i suoi ministri di bandire ai quattro angoli del regno un grand'editto col regal suo segno.
Dicea l'editto che durante un mese il re farebbe gran corte plenaria con feste e luminaria e danze della celebre, divina, famosa Marmottina, perché così il paese prendesse in qualche modo conoscenza di sua potenza e sua magnificenza.
Quindi apriva la Reggia... ah quale Reggia! dite una beccaria con tal puzzo di morti e di moria, da far crollare il naso della gente. L'Orso arricciò con tale smorfia il suo, che il re, fuori di sé per quell'azione, lo manda all'altro mondo immantinente a far smorfie alle corna di Plutone.
La Scimmia allor, esperta nel mestiero di dar l'incenso, non trovò severo troppo il castigo, anzi lodò la zampa e la bile magnanima del re. In quanto all'antro e al puzzo, giudicò che al mondo fior non c'è, che Colonia profumi non trovò, per quanto fini e rari, di quel carnaio più dolci alle nari.
Il troppo e il troppo poco in modo eguale spiacque al Leon, in ciò pari a Caligola, che non volea veder piangere e ridere. Ivi c'era la Volpe, e a lei volgendosi, chiese il re con un far confidenziale: - E tu che senti? dillo schiettamente -.
La Volpe ch'era pronta ad ogni caso, mostrandosi d'avere il raffreddore, volle uscire dal rotto della cuffia col dire: - Non ho naso! -.
Non dev'essere troppo adulatore né troppo schietto deve mai parere chi desidera ai Grandi di piacere. È meglio che tu impari a dir né sì, né no, forse... magari!
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