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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO SETTIMO
    • XI - Il Curato e il Morto
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XI - Il Curato e il Morto

 

Un morto lemme lemme al camposanto

andava in una comoda carrozza,

vestito d'una rozza

camicia, che in antico dialetto

si chiama cataletto,

veste d'estate e veste anche d'inverno,

che i morti non si tolgono in eterno.

 

Al carro andava accanto

il prete a seppellir quel cristïano

col breviario in mano,

e recitava come d'ordinario,

o un pezzo di rosario

o versetti di salmi in proporzione,

s'intende, del salario.

 

Don Abbondio seguia, quasi il covasse,

coll'occhio il suo bel morto

perché non gli scappasse,

e rifaceva intanto

i suoi conti, dicendo: - In soldi tanto

e tanto in cera e in piccoli proventi:

c'è da comprare un mezzo bariletto

di quel di malvasia,

ma vo' che sia

buono e il miglior che dànno queste vigne.

 

C'è da fare un grembiale anche a Perpetua,

e a quelle nipotine

pettegoline, ed anche... -.

Ma un sasso in questo mentre al cataletto

fe' traballar le panche,

si piegò il catafalco e cadde sotto

con tanta violenza,

che n'ha Sua Riverenza il capo rotto.

Il morto tirò seco il poveretto,

e per la lunga via

fece al curato buona compagnia.

 

Se lo guardi in ogni lato,

questo nostro viver corto

è la storia del curato,

che fa i conti sopra il morto.

 

 




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