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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO SETTIMO
    • XVIII - Un Animale nella Luna
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XVIII - Un Animale nella Luna

 

Di qui viene un filosofo e proclama

che l'uom de' Sensi suoi fatto è zimbello,

di là ne viene un altro e per sé giura

che buon giudice è il Senso. Ebben, io dico

che sta nel ver Filosofia che prova

e l'una cosa e l'altra, ove s'intenda

con discrezion. Se gli uomini nel Senso

ciecamente s'affidano, è comun

fonte d'errori; ma rimosso il velo,

che al Senso fa la lontananza e l'aria

in cui nuotan le cose, e i cento screzi

che la macchina umana e gli apparati

soffron nel tempo, ancor il Senso estimo

che sia netto e fedel specchio del vero.

Saggia fu la natura il dì che queste

cose ordinò nel mondo e un giorno io spero

manifestarne l'intime ragioni.

 

Quel Sol che vedi di quaggiù, non largo

più di tre spanne, ove potessi in alto,

nella sua sede giudicarlo, immenso,

sterminato diresti occhio del mondo.

Il mio pensier lo immagina, se il giro

colla man ne misuro e lo distendo

per l'infinita via che lo divide

dall'umil Terra. Il contadin lo crede

schiacciato scudo, ma il pensier del saggio

l'arrotonda, lo ferma in mezzo al Cielo

e in giro a lui fa camminar la Terra.

Tutti i miei Sensi io nego e so ritrarne

contro la stessa illusïon de' Sensi

il ver che v'è nascosto, anche se l'occhio

vede color diverso, anche se il suono

tardi arriva all'orecchio che l'accoglie.

È il mio pensier, è la ragion maestra,

che drizza del baston l'angol riflesso

nell'onda chiara, e da ragion guidati,

non sgarrano gli sguardi, e più non sogni

capo di donna della Luna in grembo:

(favola assurda!) male macchie e i nèi

che Cinzia ne' sereni pleniluni

mostra, tu pensi esser montagne, dossi,

che gettan ombre e fan vedere al volgo

uomini spesso e bovi ed elefanti.

 

In Albïon, or non è molto, un dotto

astronomo, puntando il telescopio,

ben credette veder non so qual mostro

nel bel disco lunar. Io non vi dico

le meraviglie e il grido della gente.

Parve presagio di sicura guerra,

e qual presagio! Accorre anche il monarca

che suol da re proteggere i sublimi

studi, e col suo regal occhio scoperse

il mostro... Ebben, che vi credete, amici?

Fra due lenti rinchiuso un topolino

era sola cagion di tanta guerra.

 

O popolo beato, a cui null'altra

cagion turba la pace, e te beato,

o buon popol di Francia, il dì che a questi

studi soltanto sacrerai l'ingegno!

Marte ha di palme seminato i campi

e dietro al gran Luigi è la Vittoria

fedele amante. Temono i nemici,

e noi cerchiamo il bel rumor dell'armi,

onde liete saranno anche le Muse

e superba l'Istoria... Ahi! ma la pace

fia sempre a noi dolente desiderio,

non riposo giammai. Carlo, il sovrano

signor inglese, poiché molto in guerra

di valore brillò, cerca comporre

diuturne contese e coll'olivo

benedire la pace. O date incenso

al benigno sovrano! e v'è missione

di re più degna e di tal re? d'Augusto

non fu l'impresa placida più bella

che le geste di Cesare famose?

O veramente popolo beato,

quando verrà questa diletta pace

a ricondur tra noi dell'arti il regno?

 




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