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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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VI - Lo Scultore e la Statua di Giove
- Lapide, o vaso, o statua, - uno scultor diceva allo scalpello, - traggi da questo bello blocco di marmo candido.
Lapide o vaso...? All'opera immortale sia tema il dio, che stringe in man la folgore agli uomini fatale; ecco che il ciglio ei muove, temete, o vivi, l'apparir di Giove -.
Sì ben trasse l'artefice l'immagine del Nume che l'accende, che ognuno che la mira esclama: - Essa respira! -. E tanta meraviglia egli ne prende, che quasi esterrefatto teme di ciò che ha fatto.
Come costui per opra di scalpello non men provò sgomento il poeta quel dì che in suo cervello previde lo spavento e l'odio e degli dèi l'amor, lo zelo da lui creati e collocati in cielo.
Temer per un nonnulla è dei poeti e non è men dei semplici fanciulli, sempre in ansia ed in affanno che s'infranga il gioiel che li trastulla.
È fantasia che il cor tragge all'inganno, onde le tante favole che per il mondo vanno.
Di qui nacque degli idoli il culto, a cui si strinsero siccome a cose salde i ciechi popoli. E ciò mi spiega, o Pigmalion, siccome tu divenissi adorator di quella, che uscì dalla tua man Venere bella.
Ciascun i sogni suoi di colorir procura, per la menzogna si diventa eroi e il vero fa paura.
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