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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO NONO
    • VIII - Il Matto che vende la Sapienza
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VIII - Il Matto che vende la Sapienza

 

A discrezion non metterti dei matti,

un consiglio più bello non si dà,

e per quanto tu veda i mentecatti,

gli stolidi, gli scempi

goder presso le corti autorità,

non sono buoni esempi.

 

Un Matto iva gridando per i vicoli

ch'ei vendeva per poco la Sapienza

e ciascuno correa per farne compera.

Ei dopo aver provato la pazienza

d'ognun di lor con infinite smorfie,

dava loro uno schiaffo e per il prezzo

un filo lungo più d'un braccio e mezzo.

 

Se alcun mostrava stizza e meraviglia,

gli regalava il resto del carlino.

Altri più saggi invece preferivano

rider di sé, del filo e del meschino,

e mogi e cresimati se ne andavano,

ché a cercar la ragion nell'opinione

dei matti perdi il tempo e la ragione.

 

È il caso che ragiona e parla ed opera

nei cervelli balzani. E tuttavia

un di questi burlati, che nei simboli

crede, e suppon che un senso anche ci sia

nello schiaffo e nel fil di quello stolido,

va in cerca di un filosofo men pazzo,

perché, se può, lo tragga d'imbarazzo.

 

- Son geroglifi, - a lui dice il filosofo, -

che nascondono un saggio avvertimento,

e questi schiaffi e questo fil dimostrano

che in fondo il matto è un matto di talento.

Tra i savi e i matti ei vuole che lo spazio

corra di questo fil, o avranno i savi

certe carezze ahimè! poco soavi.

 

 




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