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Jean de La Fontaine
Favole

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  • LIBRO NONO
    • XIX - Il Pastore e l'Armento
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XIX - Il Pastore e l'Armento

 

- Oh Dio, non passa dì che la mascella

del lupo fra le mille

non mi rapisca qualche pecorella.

Erano mille, ahimè! non son più mille,

e ancora m'ha rapito quel rabbioso

il Ricciolin, un pecorin grazioso.

 

Ricciolin, che per il prato

mi seguìa come un cagnòlo,

Ricciolin, che colle buone

fin al polo

ben mi avrebbe accompagnato,

Ricciolin, che la canzone

conoscea del suo padrone

e seguiva

lieto il suono della piva,

ah terribile destino!

dove sei, buon Ricciolino? -

 

Così Taddeo con funebre lamento

piangeva celebrando la memoria

di Ricciolin, la gioia dell'armento,

di poema degnissimo e di storia.

 

Quindi il gregge adunò, capri e montoni

e tutti fino agli ultimi agnelletti,

e disse lor di camminar più stretti,

se volevan salvarsi dagli unghioni.

 

Le pecore promisero in parola

di popolo di star dentro il confine,

strette serrate per non far la fine

che fece quella onesta bestiola.

 

E diceano: - Il tuo destino,

Ricciolino,

noi sapremo vendicar,

e l'ingorda

faccia lorda castigar -.

 

Lieto Taddeo delle promesse, crede

che sian cose di fede;

ma quando un'altra notte ancor sbucò

di mezzo all'aer cupo

la mala bestia, l'armento scappò.

E l'ombra era d'un lupo.

 

 




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