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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO DECIMO
    • VI - Il Lupo e i Pastori
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VI - Il Lupo e i Pastori

 

Un giorno un Lupo pien d'umanità

(se alcun ve n'ha)

crudele sì, ma per necessità,

fece una riflessione assai severa

sul suo brutto carattere di fiera.

 

- Ognun, - diss'egli, - ognuno mi vuol male,

e cani e cacciatori e villanzoni

congiuran contro un povero animale

e innalzan orazioni

a Giove che lo cacci dalla terra,

come si sa che ha fatto in Inghilterra.

 

Mettono il pelo e la mia vita a prezzo,

e non c'è signorotto di campagna

che non bandisca il lupo con disprezzo,

ne bimbo c'è che strilli un poco o piagna

a cui la mamma non ricordi il cupo

nome del lupo.

 

E tutto ciò per qualche asin tignoso,

per qualche agnello mezzo incancrenito,

per qualche can rabbioso,

che non aguzzan manco l'appetito.

Ebbene d'ora innanzi e carne ed ossa

di vivi fo solenne giuramento

di non mangiare, ma insalate e strame

ed erbe sole, o possa

prima morir di fame -.

 

Mentre egli giura vede dei pastori

che stan mangiando un povero agnellino

cotto allo spiedo. - Ah! Ah!

Questi bravi signori,

che parlan della mia crudelità,

sanno gustare il ghiotto bocconcino!

Ben s'impinzan la pancia essi ed i cani,

ed io che sono il lupo

starò digiuno e avrò rispetti umani?

 

No, per tutti gli dèi! Sarei corbello

a farmene un riguardo,

ben venga dunque in bocca

agnellin, agnelletto, agnella e agnello

e quanti son di questa gente sciocca:

sian essi crudi o cotti non ci guardo -.

 

Avea ragione il Lupo. È stravaganza

pretendere che, mentre l'uom ghiottone

e cena e pranza

mangiando gli animali, i poveretti

abbiano a lesinare sul boccone.

 

Vogliam serbare a loro

soltanto a loro dell'età dell'oro

i cibi duri e schietti?

Non han stoviglie e spiedi ed istrumenti?

Ma il lupo non ha torto ed alla vita

non si rassegna ancor dell'eremita,

se può mostrare i denti.

 

 




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