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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO DECIMO
    • VII - Il Ragno e la Rondine
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VII - Il Ragno e la Rondine

 

- O Giove, che dal tuo cervel traesti

per un nuovo miracol di Lucina

la dea Minerva, mia rivale antica, -

così diceva il Ragno una mattina, -

per una volta, o Giove, ascolta i mesti

miei gridi contro una fatal nemica.

 

La Rondinella, - aggiunse l'insolente, -

per l'aria svolazzando, agile toglie

quant'io raduno in casa e sulle soglie.

Squarcia le reti che pazientemente

e forti io tesso e che sariano piene,

ma sul più bel la ladroncella viene.

 

Ella mi ruba le mie mosche, mie

ben posso dirlo, e sperpera il bottino -.

Così le sue cantava litanie

quel Ragno, che fu già gran tappezziere,

e che dai tempi tristi e dal destino

era ridotto a quel brutto mestiere.

 

La Rondinella al suo mestiere intenta

non bada all'insettaccio e mosche piglia

per sé, per la sua piccola famiglia,

e con gioia crudele ne alimenta

i ghiottoncelli, che con grido incerto

salutano la mamma a becco aperto.

 

O poveretto Ragno disperato,

inutil tessitor, che far gli resta?

Ridotto tutto gambe e tutto testa

un dì, che alla sua tela era attaccato,

la Rondinella nella rete entrò

e col Ragno la casa via portò.

 

Il padre Giove volle ed ha disposto

che sian due grandi tavole nel mondo.

Alla prima vi accorre e piglia posto

il forte, l'avveduto, e chi sa fare,

all'altra vanno i deboli a mangiare

quello che gli altri lasciano sul tondo.

 

 




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