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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO DECIMOSECONDO
    • III - L'Avaro e la Scimmia
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III - L'Avaro e la Scimmia

 

Un certo Avar (e sai che la passione

porta al furor) amava il mucchio grosso.

E ver che s'io non posso

usarlo, anche un tesor è inconcludente

e meno che niente,

ma quell'Avar specchiavasi nell'oro,

ne' suoi ducati, nelle sue doppione,

che del mare deserto su una riva

in un sicuro luogo custodiva.

 

Ben difeso dai ladri, ivi il vecchietto

s'inebriava d'un piacer, che a me

può mettere dispetto,

e a lui pareva invece un paradiso.

Solo, chiuso, dagli uomini diviso,

ei tutto il tempo suo solea passare

a contare, a contare, a ricontare.

Ma per quanto pigliasse immenso gusto,

non sapea dir perché,

il conto non venivagli mai giusto.

 

Stavolta la ragion era una Scimmia

più saggia, a senso mio, del suo padrone,

che, mentre egli era fuori, divertivasi

a gettare nel mar delle doppione,

che il vecchio, chiuso l'uscio a doppia toppa,

lasciava sulla tavola,

e ciò facea la somma sempre zoppa.

 

S'io confronto il piacer che questa bestia

provava nel gettare il suo denaro,

con quello dell'avaro,

non so qual sia più bello e più di spirito.

La gente anzi dimostra simpatia

(lasciamo star se è cosa ragionevole)

a chi più butta via.

 

Un dì che si sentiva Bertuccina

di far qualche dispetto,

prese un ducato nuovo dal sacchetto,

e quindi una sterlina

e quindi ancora delle piastre belle,

e con queste rotelle,

che fanno tanto correre i mortali,

giocava alle piastrelle.

 

È tanto il gusto e tanta

la sua rapidità,

che il mucchio a poco a poco se ne va.

Quando a un tratto il padron fe' risonare

la chiave nella toppa

e pose fine al gioco singolare.

 

Madonna Bertuccina molto destra

avria fatto volar dalla finestra

tutto l'argento fino e tutto l'oro,

gettandolo nel mar che tutto inghiotte,

e che di barche rotte fa tesoro.

Io nutro la speranza

e prego il ciel che meglio me li spendano

certi nostri ministri di finanza.

 

 




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