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Jean de La Fontaine Favole IntraText CT - Lettura del testo |
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XI - L'Aquila e la Gazza
Dall'aria la regina, io dico l'Aquila, in compagnia di monna Berta un giorno (sì diverse fra lor di vesti e d'anima) volavan d'un bel prato verde intorno.
Giunte in un luogo alquanto solitario, la Gazza ebbe timor; ma la Signora, che si sentiva per quel giorno sazia, con parole amorose la rincora.
Poi dice: - Se il buon Dio dentro le nuvole s'annoia a contemplar le stelle e il sole, anch'io posso annoiarmi che son l'Aquila sua serva... Orsù, scambiam quattro parole.
Discorriamo, rompiam questa tetraggine, sorella mia, con qualche fatterello -. E volentier ciarlò Gazza pettegola, qua e là mettendo il becco, in questo, in quello.
Quel tal ciarlon di cui racconta Orazio, che il bene e il mal dicea d'ogni persona, non sapeva che cosa fosse chiacchiera di fronte a questa Gazza cicalona.
Ella ch'è buona spia, tosto s'incarica di riferir le grandi novità, ascoltando, girando, e quindi all'Aquila ridirà tutto ciò ch'ella saprà.
Ma l'Aquila, che già freme di collera, - Addio, - grida, - ciarlona, resta qui: non voglio alla mia corte una pettegola -; e con piacer dell'altra sen partì.
Seder presso gli dèi non è sì facile, come si crede, e costa immenso affanno. Ciarloni, spie, persone a fondo doppio a stento il posto lor vi troveranno.
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