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Jean de La Fontaine
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  • LIBRO DECIMOSECONDO
    • XIV - L'Amore e la Follia
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XIV - L'Amore e la Follia

 

Amor è un gran mistero:

mistero i dardi, la faretra, il foco,

e dell'infanzia sua mal noto è il vero.

Non io pretendo adesso

in pochi versi movergli il processo

e spiegar questa scienza, che, confesso,

vuol tempo per chi sa ben decifrarla.

Ma voglio colla solita mia ciarla

narrar soltanto come il cieco iddio

perdesse gli occhi e il mal che ne seguì,

un mal, che a parer mio

potrebbe essere un ben... Ma in questo affare

agli amanti rimetto il giudicare.

 

Amor giuocava un giorno in compagnia

della Follia.

Aveva il fanciullino in quell'età

aperti gli occhi ch'ora più non ha.

Nata una fiera disputa,

voleva Amor portarla innanzi ai Numi,

ma la Follia, perduta la pazienza,

gli die tal colpo che gli spense i lumi.

 

Venere, donna e madre, a quella vista

alza le strida e stordisce gli Dèi.

Giove dal cielo e Nemesi

e tutti insieme accorrono con lei

i giudici d'inferno.

La madre piange e narra della trista

l'orrenda azione,

e come il suo bambin non possa, ahi! moversi

senza bastone.

 

Non c'è pena sì grande,

che corrisponda ad opre sì nefande;

ma poi che riparata esser dovea

l'ingiuria, visto il caso, il danno, il male,

e visto l'interesse generale,

la corte mise fuori questa grida:

- Sempre Follia faccia all'Amor di guida!

 

 




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