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Pietro Aretino
La Talanta

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  • ATTO QUINTO
    • Scena XVII
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Scena XVII

PENO, TINCA e MESSER VERGOLO

 

PENO Chi vuole reintegrarsi, Tinca mio, con' gli avversari, è forza che discancelli da l'animo la ricordanza de le offese, nel modo che avete fatto voi, altrimenti non si verrebbe mai a l'atto de la pace, conciossiaché il replicare de le ragioni che a ciascun pare di avere, è un rinfrescamento di nemicizia; e però laudo il vostro procedere.

TINCA Io ho un cuore che si confà col mare, il quale, se ben tal volta tempesta con le fortune, subito che la calma lo disgonfia, una conca d'acqua che piova fa più romor di lui; onde inferisco che tanto mi rammento di quel che è stato quanto non fusse suto, e piacemi d'esser qui di Messere, come ho caro a vedervi amorevole di me stesso: del parentado non parlo, perché, non basteriano a dirlo le lingue del testamento vecchio.

VERGOLO Carissimo et istrenuissimo Capitano, se voi mi vedeste le viscere, se voi me le vedeste, vi verria da piangere di tenerezza; e però vi abbraccio e bascio con un cuor che non si può esprimere.

PENO Beati gli uomini di buona voluntade.

TINCA Egli mi pare, per la letizia ch'io provo, trionfare di mille vittorie.

VERGOLO Io vado in estasi, parente osservando.

PENO Ritorniamo un poco drento.

 

 




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