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Pietro Aretino
La Talanta

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  • ATTO SECONDO
    • Scena III
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Scena III

PIZIO e ORFINIO

 

PIZIO L'aspettar di maestro Lautizio, che non era in bottega, m'ha fatto indugiar tanto.

ORFINIO Dovevi lasciare andarvi il Costa.

PIZIO Son dolcezze d'amicizia le servitù che si fanno a gli amici, massimamente ne' casi d'amore.

ORFINIO Portagliele tu dunque, con dirle che dove manca il pregio del dono, ci supplisce la volontà del donatore.

PIZIO Se io potessi fare, come saprò dire, questa collana non si getterebbe via.

ORFINIO Egli è, Pizio,  sì grande il piacere che un liberale si piglia donando, che se ben le cose presentate si allogano male, si ritrae però da l'atto de la splendidezza non pur il merito che si richiede a chi le riceve, ma la conveniente gratitudine ancora.

PIZIO Non è meno errore a spendergravi parole in sì vil soggetto, che il trargli dietro la roba.

ORFINIO Se tu hai qualche secreto da scortar l'ore, insegnamelo; se non, va' dove debbi.

PIZIO Se volete che la notte vi paia un soffio, dormitela tutta, se anche il giorno, fate il medesimo.

ORFINIO Ecci altro?

PIZIO L'andar de le sette chiese.

ORFINIO Debbo esser chietino.

PIZIO Ah, ah, ah!

ORFINIO Poi che tu stai d'ogni ora, ne' motti, ne' tratti e ne' giuochi de gli istrioni, facciam porre il mio amore in commedia, che ci dirai la tua parte.

PIZIO Se io trovo quei gaglioffi che hanno ordine di portare i doni a la signora, ne vo' fare un mezzo atto; intanto indatevene in cappella a vedere il del giudizio, che ha dipinto Michelagnolo; che dice fra Sebastiano dal Piombo, pittore illustre, che è difficile a comprendere quali siano più vive, o le genti che ammirano le figure, o le figure che sono ammirate da le genti.

ORFINIO Cotesto solo è di mio rifugio, perocché il vigore che mi davano i raggi sfavillanti da gli occhi di Talanta, non movano in me di quella virtù, che mentre gli mirava, fecer gagliarde quelle promessioni, che ora se le possono male osservare; e con questo ti lascio.

 

 




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