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Pietro Aretino
La Talanta

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  • ATTO QUARTO
    • Scena XVI
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Scena XVI

TINCA e BRANCA

 

TINCA Che cianci tu di nozze?

BRANCA Dico che mi son ricordato, che passando ieri per Borgo nuovo, fui chiamato ne la Traspontina da un ricco ricco il quale mi disse: Branca, avendo io ottima relazione de le virtù, de l'onestà e de le bellezze de la figliuola del capitano delibero, quando a sua signoria piaccia, di sposarla in un mio unico primogenito, conchiudendomi, che quanto a le altre cose, la rimetterebbe in voi.

TINCA Come si chiama egli cotestui?

BRANCA Messer Giubileo Giubilei.

TINCA Certo l'odore del fatto mio gli è venuto al naso, benché io stupisco, come in sì gran proposito non dicesse che la mia gloria gli bastasse per dota."

BRANCA Lo dirà forse nel darsigli il sì.

TINCA Noi ci vogliamo pensar suso, perché la saviezza del capitano non dee risolversi così di tratto.

BRANCA Cotesta risposta non è nuova.

TINCA Né anco vecchia, conciossia ch'io me ne valsi ne la dieta, che noi condottieri facemmo a Marignano, dopo la vittoria del Re.

BRANCA L'ho inteso dire.

TINCA Credolo.

BRANCA Il veder la porta di casa aperta m'ha messo sospetto.

TINCA Ed anco a me.

BRANCA Che sarà?

TINCA Va' là dentro, e poi sali le scale, e menami qui Stellina per li capegli.

BRANCA Non mi si poteva comandar cosa, ch'io la facessi più volentieri, perché la poltrona di feccia di cane ha preso tanto orgoglio da poco in qua, che non ci si può più vivere.

 

 




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