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Di Santo Serapione, come fu grand'amatore di povertade e come più volte si vendè per salute de' prossimi.
Fu un altro perfettissimo monaco ch'ebbe nome Serapione, lo quale avvegnachè fosse pieno d'ogni virtù, massimamente in questa eccedea che nulla cosa terrena disiderava, nè possedea; ed era uomo anche di mirabile astinenzia e dottissima della Scrittura divina. Questi per zelo della salute de' pagani, i quali vedea senza cognoscimento di Dio, una fiata, essendo in un castello, si fece vendere a un suo compagno monaco per certo prezzi ai mimi i quali erano uomini infedeli per intendimento di convertirgli, come poscia fece; e quel prezzo che ebbe di sè stesso, si serbò occultamente, e adoperandovisi la divina grazia, tanto stette con loro per ischiavo che gli convertì alla fede e al conoscimento di Cristo. Avea in uso di non mangiare altro che pane e acqua, e quanto potea si studiava di leggere la divina Scrittura e tenevala in memoria, e innanzi che la sua virtù fosse conosciuta dai suoi signori, volevano e ricevevano da lui ogni vil servigio, come da loro schiavo; ma poichè convertiti conobbero la sua virtù, lo chiamarono e dissero così:
"Conoscendo la virtù di Dio in te, sì 'l vogliamoti liberare d'ogni servitudine, e vogliamo che sii libero, perciocchè tu hai liberato noi da molto peggiore servitudine, cioè dal demonio e dal peccato, e recati in libertà di grazia".
Allora rispuose lo beatissimo Serapione e disse:
"Poichè Iddio v'ha recati a stato di salute e a conoscimento di sè, non mi pare che io vi sia più necessario; e però, poichè a voi piace, volendomi io partire, revelovi quel che insino ad ora v'ho nascosto, cioè, che, essendo me libero e monaco in Egitto, avendo compassione al vostro errore, fecimi vendere, ed essere vostro servo per liberare voi de gli errori, come fatto è per la grazia divina; onde ecco il prezzo che di me deste, tenetelo e lasciatemi andare a guadagnare degli altri infedeli per lo predetto modo".
E pregandolo quelli che gli piacesse di rimanere con loro, e eglino l'averebbono non per ischiavo, ma per padre e signore, non volle; e anche pregandolo che il prezzo se ne portasse, e, se non lo volesse per sè, il desse almeno a' poveri, disse:
"Datelo pur voi, ch'egli è vostro; che io per me non voglio dare l'altrui pecunia ai poveri".
E dopo queste parole volendosi partire, pregaronlo quelli suoi signori che erano istati, che almeno si degnasse d'andargli a vedere ad Atena dopo un anno. E partendosi lo predetto Serapione senza pecunia o cosa temporale, andando pellegrinando pervenne ad Ellade, e poi ad Atena, non avendo nè bastone, nè tasca, nè altro se non solamente un vestimento di lino che avea indosso; e per tre dì stando ad Atena non trovò chi lo invitasse a mangiare; e il quarto dì incominciando ad avere gran fame, puosesi in un ridotto della città nel quale li grandi principi e savi della terra si congregavano al consiglio e picchiandosi le mani, e gridando fortemente che era isforzato, dicea:
"Signori Ateniesi, soccorretemi".
Alle quali grida molti commossi corsero là e domandarlo onde fosse e che ingiuria patisse: ed e' rispuose che era monaco d'Egitto e poi disse:
"Poichè io mi partii della mia patria, venni a mano di tre debitori, a due de' quali in alcun modo ho soddisfatto, ma il terzo mi tiene e richiedemi il debito, e io non ho onde gli possa soddisfare".
E domandandolo alcuno de' filosofi quali fossero questi debitori e dove stessero, e specialmente qual fosse quegli che gli richiedea il debito, promettendogli che, se il mostrasse loro, gli farebbero aiuto, rispuose e disse così:
"Dal principio della mia gioventù questi tre debitori mi furono molesti, cioè cupidità di pecunia, disiderio di diletto carnale e disiderio di gola; ma i primi due, cioè la cuipidità e 'l disiderio di diletto, ho quietati, sicchè non mi sono più molesti; ma il terzo, cioè la gola, mi molesta molto, che, essendomi stato, ora sono quattro dì, senza soddisfargli, richiedemi impazientemente lo debito, e, se io non gliele rendon mi minaccia d'uccidere".
Allora uno di quei filosofi non intendendo pienamente, ma pensando che parlasse sotto certe simiglianze, sì gli diede alcuna pecunia, la quale egli prendendo diede ad uno che vendea pane e prese pure un pane e partissi e non vi tornò mai più. La qual cosa considerando quelli filosofi, veramente dissero e diffinirono che era ammirabile e perfetto uomo. E quindi partendosi lo santissimo Serapione, venne a Lacedemonia, e capitando a casa di un grand'uomo della terra e trovando che egli e tutta la sua famiglia erano eretici Manicei, puosevisi per servo e vendettesi al predetto signore, e infra due mesi lui e la moglie e la famiglia tutta convertì alla vera e perfetta fede; onde quel suo signore temporale, cognoscendo la sua virtù, fecelo libero, ed egli, renduto lo prezzo per lo quale s'avea venduto, entrò in una nave che navicava verso Roma; e credendo gli marinari ch'egli avesse le spese e che alcuni suoi arnesi avesse raccomandati ad alcuni del legno, secondochè aveano fatto gli altri, ricevetterlo senza domandarlo di nulla; e poichè navicando furono dilungati d'Alessandria bene più di cento miglia, essendo già sera, tutti incominciarono a mangiare, ma Serapione non mangiava, perocchè non avea che; ma quelli della nave pensavano che forse non mangiasse, perchè fosse isdegnato per lo mare: ma vedendo poi che non mangiava secondo giorno, nè 'l terzo, nè il quarto, lo quinto giorno vedendolo istare in somma quiete e non curarsi di mangiare sì 'l domandaro perchè egli non mangiasse: e rispondendo egli che non avea che mangiare, gli marinari di ciò maravigliandosi, si guatavano insieme e domandava l'uno l'altro, qual fosse quegli che avesse le sue cose; e rispondendo ciascuno che di sue cose non aveano niente, incominciaronlo a riprendere e di re:
"O come salisti in sulla nave senza fornimento? Or onde pagherai lo navolo? or come ci viverai?".
Ai quali egli tutto mansuetissimo rispuose:
"Se v'incresce di menarmi, riportatemi onde mi levaste".
Allora gli marinari si turbarono e dissero che per gran prezzo ciò e' non farebbono, conciossiacosachè egli avessono vento in sua via. E per questo modo Serapione rimase in sul legno; e i marinari, perchè non morisse di fame, lo notricarono insino a Roma. E poichè fu posto in terra e intrato in Roma incominciò curiosamente a investigare chi vi fosse monaco famoso di santità, ovvero alcuna vergine molto famosa. E ispiando che v'era un santissimo monaco che avea nome Donnione, lo quale era molto dotto, esperto e virtuoso in fare miracoli, visitollo con gran reverenzia e umiltà, e domandando ricevette da lui dottrina. Dal quale poi intendendo che in Roma era una santissima vergine, la quale istava rinchiusa e non parlava ad uomo, investigato che ebbe la sua cella, se ne andò a quella, che le serviva e che le portava le cose da vivere e dissele:
"Va', di' a questa vergine, che per necessità fa pur bisogno che io la veggia".
E rispondendo quella che molti anni era stata che non avea parlato a uomo, disse:
"Va' a dille che Iddio mi manda a parlarle".
E tanto fu importuno di volerle parlare, che al terzo dì consentì di volerlo vedere; e come egli fu a lei, sì le disse:
e quella rispuose:
E quello dimandò:
e quella rispuose:
"A Dio".
e quella rispuose:
"Credo in Dio ch'io son morta al mondo, e ben so che chi vive secondo la carne al mondo, a Dio non puote andare"; e Serapione disse:
"Se tu mi vuoi far credere questo, esci fuori e fa quello che farò io".
E quella disse:
"Ogni cosa è possibile all'uomo ch'è morto al secolo, eccettochè la impietà".
E quegli disse:
"Or esci fuori e proverai se tu se' morta"; e quella rispuose:
"Venticinque anni sono stata rinchiusa qui dentro: per che cagione vuoi tu che io ora esca?".
E quelli le disse:
"Non hai tu già detto che tu se' morta al secolo? se dunque se' morta, e come tu dici, al secolo, e 'l secolo a te, cotale ti fa lo stare, come l'andare, perocchè 'l morto nulla sente e di nulla si cura. Esci dunque e pruova te medesima, se così è".
Allora la vergine uscì fuori e andò insieme con lui ad una chiesa, nella quale istando, Serapione le disse:
"Se mi vuoi far credere per certo che veramente sie morta al mondo, nè non ti curi di piacergli, fa' quello che farò io. Ispogliati ignuda e porta li tuoi panni in sulla spalla e vieni dopo me per mezzo la città, che sarò ignudo come tu, e non ti vergognare, e non te ne curare, come non farò io".
E quella rispuose:
"Credo che io scandalizzerei molte persone, se io per lo predetto modo ti seguitassi, e reputerebbonmi le genti una pazza o indemoniata".
"Or che ti fa ciò che altri ne dica, se tu se' morta al mondo? che bene sappiamo che il morto non cura che altri ne faccia beffe o dica male di lui, perocchè non sente e non ode nè bene, nè male".
Allora rispuose la vergine e disse:
"Priegoti che mi comandi qualunque altra cosa tu vuoi, che veramente ti confesso che non sono ancora giunta a tanto mortificamento, nè a tanta perfezione".
"Vedi dunque, sorella mia, che non se' ancora gran fatto; onde non ti gloriare d'esser morta al mondo e di essere più santa che l'altre; che bene hai veduto che ancora vivi al mondo e temi di dispiacere agli uomini, e vedi che ben son io più morto al mondo che tu, che non mi curo nè di ben parere, nè di mal parere umano".
E poichè l'ebbe così umiliata e fatta cognoscente, sì si partì. Le predette e molte altre cose fece lo santissimo Serapione predetto, nelle quali veramente mostrò che egli non si curava del mondo; e in capo di sessanta anni passò di questa vita e fu sepolto nel diserto d'Egitto. Amen.