Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di Malco Monaco

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Vita di Malco Monaco

 

Istoria d'un monaco di Siria, che fu preso e datogli moglie per forza, ma non però perdette la sua verginità.

 

In una villa di Siria presso ad Antiochia a trenta miglia, la quale si chiama Varonia, trovai un antico e santissimo uomo che avea nome Malco con una compagna anche molto antica e santa. La fama e la santità de' quali udendo, dimandai curiosamente da' vicini se questa sua compagna era per copula di matrimonio o d'altra parenteria o spirituale amistade. Della qual cosa non sapendomi eglino bene dichiarare, ma rispondendo tutti che quelli erano molto santi e congiunti insieme con mirabile amore di carità, anda'mene a costui, e curiosamente lo incominciai a dimandare del suo istato e della sua condizione e di questa sua compagna che avea. Allora egli umilmente mi rispuose e disse:

 

"Al tempo della mia gioventù essendo io unico suo figliuolo al mio padre e alla mia madre in quella villa, acciocchè la loro eredità non perisse, vóllomi molto tosto dare moglie; la qual cosa rinunziando io, e rispondendo che io volea essere monaco, incominciárommi a lusingare e minacciare in molti modi e con molti argomenti trarre a loro volontà; la molestia de' quali non potendo io più sofferire, avendo al tutto diliberato di farmi monaco, e acceso d'un buon disiderio, raccomandandomi a Dio, fuggi' da loro occultamente e misimi verso l'occidente, portando meco alcuna poca cosa da mangiare; e guidandomi e guardandomi Iddio, dopo molte giornate pervenni a quell'eremo che si chiama Chalchidos, e quivi trovando santissimi monaci, diventai loro discepolo e procurava la vita mia lavorando colle mie mani, e domava lo mio corpo e per fatica e per digiuni. E dopo molti anni vennemi in cuore, per operazione del nimico, di visitare li miei e, se fosso no morti, vendere le possessioni, e parte del prezzo dare a' poveri e parte al monisterio di quelli monaci dove io stava, e (con vergogna il dico) parte serbarmene per mie necessitadi come infedele e imperfetto monaco. Della qual cosa sconfortandomi l'abate mio, e, come uomo esperto e discreto, dicendomi che questo era inganno e pensiero del nimico, lo quale sotto ispezie di bene e d'onestade mi volea far tornare al secolo, e provandomi per molte scritture ed esempli di molti che in simile modo erano caduti e ingannati, dicevami che questo era un tornare e un guatare a dietro, poichè io avea messo mano all'aratro e all'ultimo eziandio pregandomi e scongiurandomi ch'io non lo abbandonassi, io misero, come ostinato e superbo, immaginando e credendomi che tutto ciò mi dicesse non per mio vantaggio, ma perch'io gli era utile al monisterio, non gli volli credere consentire; onde vedendomi al postutto disposto a partirmi, accommiatandosi da me, con gran dolore, come chi si traesse un suo figliuolo morto di casa, e accompagnandomi alquanto diceva: 'Veggioti, figliuolo mio, nelle mani di Setanasso, e nulla buona cagione, legittima scusa hai di partirti. La pecora che fugge del pecuglio, spesse volte viene a mano del lupo'. Per le quali tutte parole non potendomi rivocare, raccomandandomi a Dio, tornossi al suo monisterio con gran dolore. Or andando io verso Edissa, pervenni a Beroi; nel qual luogo, perciocchè quivi presso ha una solitudine molto dubbiosa, per la quale ladroni e saracini discorrono e rubano e prendono li viandanti, si sogliono ragunare molti che vogliono passare, acciocchè andando molti insieme sien più sicuri; trovandomi quivi con ben settanta tra maschi e femmine, vecchi e giovani, mettemmoci a passare; e andando noi, ecco subitamente giunse sopra noi molti uomini Ismaeliti Saracini in su' cammelli con archi e saette correndo e arrecando contro a noi, ed erano quasi mezzi ignudi, e avevano la testa legata con certi panni. E conchiudendoci tutti, presonci e menaronci prigioni; e noi partendoci fra loro, io e questa femmina venimmo in parte d'uno di quelli cavalieri e menandocene in su' cammelli per quella solitudine, davanci in cibo carne mezzo cruda e latte di cammelli. E passato che avemmo un gran fiume, pervenimmo a un terribile diserto in una gran pianura, nella quale trovando la moglie e i figliuoli di questo nostro signore, fummo costretti come schiavi d'inchinare e d'adorargli. Quivi imparai ad andare ignudo come gli altri; perocchè v'è sì gran caldo che, eccetto le membra vergognose, nulla altra parte cuoprono. Furommi date a guardare le pecore, e fra i molti miei mali questo m'era gran sollazzo che rade volte vedeva li miei signori o conservi, per cagione che mi convenia stare alla pastura colle pecore, e stavami volentieri solo; e ricordandomi di Iacob e di Moisè, e degli altri antichi Padri che furono pastori, confortaimi. Prendea in mio cibo cacio fresco e latte; orava quasi continovamente e cantava quelli salmi ch'io avea impresi nel monistero; onde, vedendomi tanto agio e tempo di ben fare, standomi così solo, incominciai a dilettarmi della mia solitudine e ringraziare lo giudicio di Dio, che la vita e lo stato monacile, che avrei perduto se fossi giunto alla mia patria, avea trovato e tenere poteva in quella solitudine. E dopo alquanto tempo vedendo e considerando questo mio signore lo suo gregge delle pecore multiplicare, e trovandomi fedele e sollecito, volendomi e credendomi quasi rimunerare del buon servigio, e per meglio animarmi a ben fare ed essere sollecito e fedele, dissemi che volea ch'io prendessi per moglie quella femmina ch'era stata presa con meco. E rispondendo ch'io era cristiano, e questo fare non poteva, perciocchè 'l marito era ancora vivo ed era stato preso con noi e venuto in parte a un altro signore; provocato ad ira, vennemi addosso col coltello ignudo, e se incontanente non la prendessi per mano e per mia sposa, che mi ucciderebbe; onde infin gendomi io di consentirgli, presila la sera e menaila in quella spelonca dove io tornava. Allora incominciai a conoscere la mia prigionia e servitù, e gittandomi in terra incominciai a piagnere la perfezione monastica e la verginità ch'io temea di perdere; e diceva: Ora a questo sono venuto, misero, a questo m'hanno recato li miei peccati che, essendo già vecchio e canuto e avendo servato insino a ora la mia verginitade, ora in vecchiezza mi conviene essere marito. Che prode m'è stato che fuggii la mia patria e i miei parenti per non prendere la moglie, poichè questo sono costretto ora di fare? Ma veramente credo che però questo m'avviene perchè io, contro al consiglio e volontà del mio abate, volli tornare alla mia patria. E crescendomi il dolore e l'amaritudine, immaginandomi d'uccidermi prima che di corrompermi e perdere la verginità incominciai a dire a me stesso: 'Che faremo, anima mia? periremo o saremo vincitori? aspetteremo che Iddio ci soccorra o uccideremoci ispacciatamente? Ucciderommi certo, perciocchè più m'è da temere la morte dell'anima che quella del corpo; se per amore d'osservare castitade forse Iddio mi reputerà quella morte a martirio'. E così parlando presi il coltello e rivolgendomi la punta verso di me, vollimi percuotere: e dissi verso quella mia nuova moglie: 'Statti con Dio, infelice femmina; innanzi voglio che m'abbi martire che marito'. Allora ella gittandomisi a' piedi piagnendo, disse: 'Priegoti per Gesù Cristo che non ti uccidi, che sai ch'io ne sarei cagionata e sarei uccisa; e se pure morire ti piace, uccidi prima me che te: ma sappi che, eziandio se 'l mio marito tornasse, osserverei castità in quanto potessi, la quale m'ha insegnata tenere e amare questa mia servitudine, e intanto m'è venuta in amore che innanzi vorrei morire che perderla. Perchè dunque ti vuoi uccidere per non congiugnerti, poichè io vorrei innanzi morire che consentirti, eziandio se tu volessi? Tiemmi dunque per compagna di pudicizia, e più ama l'anima mia che lo corpo. Leggiermente faremo credere a' nostri signori che tegnamo matrimonio se ci vedranno stare insieme e portarci amore; e nientedimeno Cristo ci vedrà stare insieme e portarci amore come sirocchia e fratello'. Le quali parole udendo e maravigliandomi io di tanta virtù e senno di questa femmina, credettile e consolaimi e amavala molto più che moglie; tuttavia, temendo di perdere quello che molto amava, cioè la castità, guardaimi sempre diligentemente, intanto che, avvegnachè io la tenessi con meco sempre, mai lo suo corpo nudo non vidi mai le sue carni toccai. E vedendoci li nostri signori così amare l'uno coll'altro, essendo noi già in questo cotale matrimonio quanto alla vista stati più tempi, incominciaronsi a confidare di noi e darci più libertade. E dopo gran tempo standomi una fiata solo nell'eremo alla pastura in luogo che io non vedeva se non lo cielo e la terra, incominciai sospirando a pensare e ricordarmi de' miei compagni monaci, massimamente del mio reverendissimo maestro abate; e stando in questo pensiero, vidi molte formiche entrare e uscire per uno stretto pertugio e portare maggiori pesi che non era lo proprio corpo; e alquante cavavano la terra delle fosse, e facevano la para alla tana loro, perchè non v'entrasse l'acqua; e alquante vi tiravano dentro alcune fronde d'alberi, e alcune altre fendevano le granella, acciocchè non nascessono in erba per l'umidità della terra; alcune altre quasi con pianto portavano l'altre morte; e che più mirabil cosa è, in tanta moltitudine quelle che uscivano, non impedimentivano quelle che portavano; anzi se ne vedevano alcuna per troppo gran peso essere caduta, l'altre correvano ad aiutare e rilevavanla. E in questo spettacolo tutto il giorno istetti con gran diletto. E ricordandomi dell'ammonimento di Salomone che dice: 'Va' alla formica, o pigro, e considera le sue vie'; volendo per suo esempio eccitare a sollecitudine le menti pigre, incominciaimi a dolere e portare con tedio la mia servitudine per desiderio della vita del munistero, la quale mi ridussono a memoria quelle formiche, vedendole abitare insieme e in comune congregare e lavorare, e l'una aiutare l'altra, a similitudine della vita monastica. E tornandomene a casa maninconico con questo pensiero, questa mia compagnia, di ciò avvedendosi, domandommi la cagione della mia maninconia; e rispondendole io per ordine secondo il mio pensiero e desiderio e confortandola a fuggire con meco, consentì volentieri e tennemi credenza. Or avea fra le pecore due becchi grandissimi, li quali uccisi, e apparecchiai la carne per portare per la via, e delle pelli feci due otri. E fatto questo, una sera nel principio della notte credendo li nostri signori che noi dormissimo e giacessimo insieme e però non fossimo iti a loro, movemmoci e fuggimmo, ma con grande paura; e giunti noi al fiume, che v'era dilungi dieci miglia, enfiammo gli otri soffiandovi e mettendogli nell'acqua, salimmovi su e remando co' piedi, come potevamo, passammo di , ma passando lasciammoci correre secondo il corso del fiume più in giù, e poi passammo alla ripa, acciocchè se altri ci venisse dietro seguitando le nostre vestigie, dall'altro lato della ripa del fiume non fossono corrispondenti a quelle della prima ripa. E avendo noi a passare una grande e sterile solitudine, bevemmo molto di quell'acqua di quel fiume, volendo provvedere per la sete che dovea venire. Correvamo fuggendoci e sempre dietro guardandoci, e massimamente la notte andavamo, sì per paura dei ladroni che il discorrono per quella solitudine, sì per lo caldo del ; e con tanta paura fuggivamo che eziandio pure ora ciò narrando impaurisco che tutto triemo. Ecco dopo il terzo giorno, mirandomi io indietro, ebbi veduto molto da lungi due uomini in su due cammelli molto correndo venirci dietro; li quali vedendo, immaginandomi, com'era, che fosse lo signore nostro, incominciammo a temere, e aspettando la morte vedendo che non ci potevamo bene nascondere per le vestigie nostre, ch'erano impresse nella rena, dopo le quali quelli correvano seguitandoci; e fuggendo, poi raccomandandoci a Dio, vedemmo a mano diritta una spilonca ch'andava molto sotterra, nella quale avvegnachè temessimo entrare per le vipere e scarpioni e serpi che sogliono entrare in queste cotali caverne fuggendo il caldo del sole lo giorno; pur vedendoci sopraggiugnere, entrammovi raccomandandoci a Dio; ma non essendo arditi d'andare molto addentro, allogammoci in un luogo dalla mano sinistra, dicendo così fra noi: Istiamo qui, se Iddio ci aiuta, camperemo qui; se ci dispregia come peccatori a lasciarci qui morire, almeno abbiamo sepolcro. Oh in che paura istavamo e chente cuore era il nostro! pure avale dicendotriemo che la lingua non lo può speditamente proferere questo fatto. Ed ecco dopo un poco questo nostro signore con un fante, seguitate le nostre vestigie, fu giunto alla spilonca, e chiamava e gridava ch'io uscissi fuori; ma io non era ardito di rispondere. Mandò dentro lo servo suo che ce ne traesse, ed egli tenendo li cammelli colla spada ignuda in mano aspettava d'ucciderci. E perciocchè la caverna era oscura e larga, e anche che, come usa che chi viene dal sole all'ombra ogni cosa gli pare quasi oscura; entrando il servo dentro, non ci vide, ma rimanendo noi in quel cantone presso alla bocca della spelonca, e stando cheti con paura, quegli andò più addentro gridando: Uscite fuori, ladroni, che bisogno è che siate morti; uscite che 'l signore vi chiama. Ed essendo dilungato da noi forse tre o quattro cubiti andando così gridando, ecco sì subitamente una leonesse gli uscì incontra, la quale eravi dentro nascosa co' suoi leoncini, e gittòglisi al collo e strozzollo e trasselo dentro. O Gesù buono, e che paura e che allegrezza insiememente! Avemmo paura che la leonessa non ci vedesse; allegrezza vedendo perire quegli da cui aspettavamo d'essere morti. E aspettando lo signore di fuori, e vedendo ch'egli non tornava, immaginossi che noi gli risistessimo. Venne irato alla spilonca e gridando entrò dentro, riprendendo la nigligenza del servo. Ed ecco subitamente innanzi agli occhi nostri venne la leonessa e, presolo, tirollo dentro. Or ecco liberati dall'uno pericolo, temevamo l'altro simile, cioè della leonessa; se non che più tollerabile ci pareva a sostenere l'ira di quella bestia che quella degli uomini; e stavamo con gran paura; e, non essendo arditi di muoverci, aspettavamo il fine di questo fatto, e fra tanti pericoli, armati solamente della coscienza della castità, cominciammoci a confortare in Dio. Ed ecco subitamente la leonessa vedendosi sentita, e temendo ch'altra gente maggiore non sopravvenisse, prese un suo leoncino in bocca, e la mattina per tempo fuggì; ma non però affidandoci, incontanente fuggimmo fuori, ma aspettammo insino a sera sempre immaginandoci, se uscissimo fuori, di trovarla. Ma pure poi la sera uscimmo fuori, e trovando li cammelli di quel nostro signore con alquanti cibi da mangiare, salimmovi su e, continovando le giornate, lo decimo giugnemmo nelle contrade di Siria, ed essendo menati innanzi al tribuno che v'era per li Romani, narrammogli ciò che ci era incontrato; e quindi partendo e andando in Mesopotamia, vendemmo li cammelli a Sabiniano duca della contrada; e perocchè intesi che quel primo mio abate era morto, venni a queste contrade e accompagna'mi con questi altri romiti e monaci che sono per questa contrada; e costei raccomandai a certe religiose donne, amandola come suora, ma non però affidandolemi come suora. Queste cose mi disse questo Malco, infino ch'io era giovane; e però ora l'ho volute scrivere con altre a commendazione della castità, acciocchè ogni uomo sappia che eziandio fra i coltelli e fra le bisce e ne' diserti la castità si può mantenere, se l'uomo l'amasse perfettamente, e che l'uomo ch'è andato a Cristo, può essere morto, ma non convinto".

 

 


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