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Vita di Santa Eufrosina Vergine
Capitolo I
Di S. Eufrosina vergine; e imprima della sua natività, è come essendo poi maritata, fuggì ad un monastero di monaci in abito d'uomo e fecesi monaco.
Fu nella città d'Alessandria un gentiluomo e onorabile, e temente Iddio, lo quale avea nome Panuzio. Questi avea una gentile e santa donna per moglie, ma sterile, e doleasi molto di rimanere diseredato; per la qual cosa egli e la moglie massimamente facevano molte limosine a' poveri e a religiose persone, pregando e facendo pregare Iddio che desse loro alcuno rede. E una fiata Panuzio udendo poi dire che in un certo monisterio, lo quale era presso ivi, fuori d'Alessandria, avea molti santi monaci, come uomo ch'era sollecito di cercare e trovare alcuna persona per li cui meriti Iddio lo esaudisse, andossene a questo monistero: e, sperando nella loro santitade, offersevi molta pecunia, e raccomandossi all'abate e ai monaci, ma non aperse loro lo suo desiderio. Ma poi dopo molto tempo, avendo già fatto con loro molta grande amistade, un giorno chiamò l'abate, e apersegli lo suo desiderio, e pregollo che pregasse Iddio che gli desse frutto del suo ventre: al quale l'abate avendo compassione, confortollo molto, dandogli buona speranza che Iddio l'esaudirebbe. E partendosi Panuzio, l'abate si puose in orazione per lui, pregando Iddio che gli desse frutto del suo matrimonio. Esaudendo Iddio i prieghi di Panuzio e dell'abate, la donna ingravidò e fece una figliuola femmina. E credendosi Panuzio esaudito per la santità dell'abate, crebbegli la devozione di lui; e vedendo la santa conversazione sua e de' suoi monaci, conversava molto con loro, stando quasi continuamente nel monistero; e un giorno anche vi menò la sua donna, ac ciocchè l'abate e gli altri santi frati l'ammaestrassono e benedicessono. E poi in capo di sette anni levarono la fanciulla dalla balia e battezzaronla e puosonle nome Eufrosina; e rallegravasi molto di lei, perciocchè era bella e graziosa a Dio e agli uomini. Ed essendo già Eufrosina in etade d'anni dodici, la sua madre passò di questa vita; e rimanendo il padre solo con lei, vedendola molto ingegnosa e savia, incominciolle ad insegnare lettera; sicchè in brieve tempo Eufrosina diventò savia e letterata delle scritture mondane, e venne in tanta fama e di virtù e di sapienza e di bellezza, che di molti grandi signori la chiedevano al padre per isposa ai loro figliuoli; ma Panuzio, perocchè malvolentieri la partiva da sè, non assentiva ai loro dimandi. Ma pur poi dopo alquanto tempo essendone molto impressato da un molto potente e gentile uomo, il quale gliele addomandava per un suo figliuolo, considerando egli che la parentezza era grande e che non si convenia più indugiare di maritarla, acconsentígli e disposò la figliuola sua al figliuolo di colui. E dopo non molto tempo prese Panuzio Eufrosina, ed essendo ella in etade di diciotto anni, menolla al predetto monistero e facendovi gran limosine rappresentolla all'abate e a' frati, e disse all'abate:
"Ecco, il frutto delle tue orazioni t'ho menato innanzi, acciocchè prieghi Iddio per lei; e perocchè è tempo che la ne voglio mandare a marito: da Dio per li tuoi prieghi la riconosco; onde ti priego che ti sia raccomandata, e prieghi Iddio che la faccia buona; e priegoti che l'ammaestri che via abbia a tenere".
Allora l'abate la fece menare nella foresteria fuori del monisterio e quivi incominciò a parlare con lei della virtù della castitade e della pazienza e del timore di Dio. E stette Panuzio con Eufrosina tre dì al monistero; nel quale Eufrosina considerando attentamente la divozione de' frati in cantare, vegghiare e orare e in altri esercizi spirituali, diceva in sè medesima:
"Beati sono costoro, perocchè in questo mondo vivono come angioli e poi anche averanno vita eterna".
E dopo tre giorni volendosi Panuzio partire, Eufrosina si gettò a' piedi all'abate e raccomandòglisi; e l'abate orò e disse:
"O Iddio, lo quale conosci l'uomo innanzi ch'egli nasca, degnati d'avere cura e guardia di questa tua ancilla, sicchè meriti d'avere parte e compagnia co' tuoi eletti nel tuo regno".
E dopo queste parole Panuzio e Eufrosina, raccomandandosi all'abate e a' monaci, tornarono alla cittade. Or avea Panuzio in usanza quando trovava alcuno de' monaci del detto monistero alla città, di menarlo a casa sua e farli onore e raccomandargli Eufrosina e far fare orazione a Dio per lei. E venendo l'anniversario dell'ordinazione dell'abate del detto monistero, nel quale lo monistero facea gran festa, mandò l'abate un monaco ad invitare Panuzio alla festa. E andando il monaco alla casa di Panuzio e richiedendolo, fugli risposto, com'egli non v'era, da' suoi famigli. E udendo Eufrosina che v'era un monaco degli amici del padre, fecelo chiamare a sè, e fecegli grande onore, e dissegli che l'aspettasse che tosto tornerebbe, e intrò in parole con lui per grande divozione, e dissegli:
"Dimmi, priegoti, frate, quanti monaci siete nel monistero?".
E quegli rispuose:
"Siamo trecentocinquantadue".
"Riceve l'abate chiunque vi vuole entrare?".
"Molto volentieri seguitando Cristo, lo quale disse: 'Quegli che viene a me, non lo caccerò fuori' ".
"Cantate voi l'uficio tutti insieme e digiunate voi e mangiate tutti ugualmente?".
"Tutti cantiamo insieme, ma ciascuno digiuna quanto e come vuole, acciocchè non per forza, ma per ispontana volontà ciascuno serva a Dio".
E poich'ebbe bene domandato d'ogni loro usanza, disse Eufrosina:
"Grande desiderio ho avuto di potere pervenire in questa onestade e venerabile vita; ma temo questo mio padre, lo quale per questa vana e caduca ricchezza del mondo m'ha voluto maritare".
Alla quale rispuose il monaco e disse:
"Sorella mia, poichè Iddio t'ha dato questo buono desiderio, seguitalo e non permettere che uomo faccia vergogna al corpo tuo e macoli e lordi tanta bellezza; ma dispósati a Cristo, lo quale puote per queste cose transitorie darti lo regno del cielo e la compagnia degli angioli. Pártiti adunque occultamente, ed entra in alcuna religione, acciocchè possi campare".
Le quali parole udendo Eufrosina, piacquerle molto e disse: E chi mi tonderà? che io non vorrei essere tonduta da secolare, perocchè non mi terrebbe credenza. Rispuose il monaco:
"Ecco, tuo padre so che verrà alla festa e staravvi tre dì o quattro; e tu in questo mezzo manda per alcuno de' nostri monaci e farai come ti dirà; e io spero che Iddio ti manderà a mano quegli che bisogno ti farà e verrà a te molto volentieri".
E in queste parole Panuzio tornò a casa; e trovando il monaco e domandandolo perchè era venuto, intendendo la cagione, ricevette lo invito, e con grande allegrezza, poich'ebbono mangiato, se n'andò con lui al monistero. E in questo mezzo Eufrosina, fatta divotamente orazione a Dio che la dirizzasse in via di salute, chiamò un suo fedelissimo sergente e dissegli:
"Va' al munistero dove è Panuzio ed entra nella chiesa e quel monaco che tu vi troverai, priega da parte mia che venga da me, e vieni con lui e non fare altrimenti motto a persona".
E andando il messo fece secondo che gli fu imposto; e il primo monaco che vi trovò, pregò che venisse a lei. Allora quel monaco, lo quale molto santo, ispirato da Dio mossesi incontanente e venne a Eufrosina, e fatta l'orazione benedissela e puosesi a sedere con lei. Disse Eufrosina:
"Signor mio, avvegnachè lo mio padre sia cristiano e temente Iddio, pur per la misera pompa di questo mondo, essendo molto ricco e non avendo più erede che me, hanni voluto maritare e ora me ne vuole mandare a marito. Io per me non vorrei entrare nelle brutture del mondo, e ho desiderio di vita religiosa, ma temo d'essere disobbediente a mio padre, onde non so che mi faccia nè a che m'appigli: tutta la notte precedente non dormii, ma sempre orai a Dio che mi mandasse il suo consiglio e mostrasse la sua misericordia. E come fu giorno presi per consiglio per ispirazione di Dio di mandare alla chiesa, e il primo monaco che si trovasse farmi venire e dimandargli consiglio di questo fatto; onde so che Iddio ti ci ha mandato; e però ti priego che tu mi consigli e dirizzi nella via della salute".
Allora quel santissimo monaco parlò e disse:
"Sai, figliuola mia, che Cristo dice nel Vangelo: chi non rinunzia al padre e alla madre e a' fratelli e a' figliuoli e anche a sè medesimi, non può essere mio discepolo. Non so ch'io ti possa dire altro, se non se credi potere vincere le tentazioni della carne: lascia stare ogni cosa e fuggi, e delle ricchezze di tuo padre non ti curare, che assai eredi troverà se egli vorrà. Ecco gli spedali e i monasteri e le vedove e i pupilli e le chiese, e pellegrini e prigioni assai. Lascile tuo padre come e a cui gli piace: e tu, credimi, non perdere però l'anima tua, ma séguita la grazia che Iddio t'ha ispirata".
"Ed io spero e confidomi in Dio e nelle tue orazioni, che col suo ajuto io farò secondo lo tuo consiglio".
"Or ti spaccia, sicchè in questo disiderio non raffreddi".
"E io così voglio fare; onde ti priego che spacciatamente mi tagli le trecce e donimi la tua benedizione e óri per me".
Allora lo monaco, fatta l'orazione, arditamente le tagliò le trecce, e orò per lei, e disse:
"Iddio, lo quale libera tutti gli suoi santi, ti guardi da ogni male".
E dopo questo quel monaco con gran letizia tornò al monastero. E rimanendo Eufrosina sola, incominciò a pensare in sè medesima e disse:
"S'io fuggo ad alcuno monistero di donne, lo mio padre è sì potente che, cercando di me e trovandomi, me ne trarrebbe per forza; e però mi pare di mutare abito e vestirmi a modo d'uomo e fuggire ad alcun monistero di monaci, perocchè quivi non si potrà altri immaginare ch'io sia".
E come pensò così fece. Vestissi a modo di maschio, e la sera al tardi uscì di casa e stette nascosa in un certo luogo tutta la notte; e la mattina per tempo se n'andò a quel monistero, dove il padre era istato invitato ed era così amato, e fece richiedere l'abate, mostrandosi d'essere un donzello di palagio. E come piacque a Dio, la mattina medesina Panuzio era tornato alla cittade, ma per essere all'uficio alla chiesa, non tornò a casa così tosto, ma in prima se n'andò alla chiesa. Or venne l'abate alla porta, e vedendo questo donzello, gittossi in orazione, e poi si levò e puosesi a sedere con lui e domandollo chi egli fosse e perchè fosse venuto. Rispuose Eufrosina:
"Io sono un donzello eunuco in nel palazzo del signore della terra, e sempre ho avuto desiderio d'essere monaco; onde, udendo la fama della vostra santitade, son venuto a pregarvi che mi riceviate per monaco, perciocchè il mondo al tutto mi dispiace".
"Come hai tu nome?".
Rispuose ch'eavea nome Smeraldo. Udendo l'abate tanto desiderio e tanto senno in lui, immaginossi di riceverlo, e disse:
"Or vedi, tu se' molto giovane, e non potresti stare solitario come fanno molti di noi, ma fa bisogno che tu abbia maestro che t'insegni li costumi e l'osservanze dell'ordine, al quale tu obbedisca; e però ripensa innanzi come tu se' acconcio a ogni penitenzia e obbidienza".
E rispondendo egli che ad ogni cosa ch'egli voleva era apparecchiato, l'abate lo ricevette, e chiamò un suo frate ch'avea nome Agapito, e sì gliele raccomandò, e dissegli:
"Ecco oggimai questi sia tuo figliuolo e discepolo: fa che tu me lo racconsegni tale che sia migliore che il maestro".
E fatta l'orazione gliele assegnò, e Agapito lo ricevette. Eufrosina, chiamata frate Ismeraldo, si trasse da lato cinquecento soldi e diégli all'abate, e disse:
"Togli ora questa pecunia, Padre, per la necessitade de' frati, e s'io vedrò ch'io ci possa perseverare, farò che avrete tutta l'altra mia ereditade".
E perocchè Smeraldo avea molto bello volto, lo nemico ne mettea molti mali pensieri a molti monaci, quando era con loro in coro; per la qual cosa i monaci pregarono l'abate che lo facesse istare in alcun luogo, infinchè quel fiore di tanta bellezza cessasse. Le quali parole l'abate udendo, chiamò Ismeraldo e dissegli:
"Figliuolo, per la bellezza della tua faccia lo nemico ne scandalezza e tenta molti; onde voglio che tu stia solitario in una cella e quivi mangi e lavori e dica l'uficio e facci ogni altro tuo fatto".
E rispondendo Ismeraldo che egli era apparecchiato ad ogni obbedienza, l'abate chiamò Agapito suo maestro, e comandògli che gli apparecchiasse una cella solitaria; e Agapito così fece. E stando Ismeraldo così solo in cella diéssi a più singulare divozione in vigilie e orazioni e digiuni, servendo a Dio in semplicità di cuore, e con tanto fervore che il suo maestro Agapito se ne maravigliava; e ridicendo a' frati la sua perfezione, tutti ringraziarono Iddio, lo quale in etade ancora tenera operava così gran cose.