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Capitolo II
Come fu rivelato a S. Antonio, e com'ei il trovò.
Essendo Paolo già in età d'anni centotredici e menando quasi vita celestiale in terra, e sendo Santo Antonio già d'anni novanta, in uno altro eremo solitario, e non sapendo di Paolo niente, vennegli uno cotale pensiero e immaginazione ch'egli fosse il primo che avesse incominciato ad abitare l'eremo; la quale vanagloria volendogli Iddio tôrre rivelógli per visione che un altro era nell'eremo più addentro che era migliore di lui, ed ammonillo che 'l dovesse andare a vedere. Per la qual cosa Antonio, avvegnachè debole per la vecchiezza, incontanente la mattina per tempo, prendendo un suo bastone per sostentare le sue membra deboli, mossesi per andare, avvegnachè non sapesse lo luogo nè l'abitazione di Paolo; ed essendo in sul mezzo dì, sentendo un grandissimo caldo, cominciossi a confortare in Dio per lo grande desiderio che avea di trovare Paolo, e disse:
"Credo e spero nel mio Iddio che mi mostrerà lo suo servo, lo quale mi promise".
Ed ecco, come piacque a Dio, così andando e confortandosi, levando gli occhi ebbe veduto uno animale che parea mezzo uomo e mezzo cavallo lo quale i poeti chiamano centauro: lo quale centauro vedendo Antonio si fece lo segno della croce e salutollo, e disse:
"In che parte abita questo servo di Dio che io vo caendo?".
Allora quello centauro, come fu volontà di Dio, intendendo Antonio ed estendendo la mano diritta verso una via e parlando come potea, anzi linguettando confusamente, mostrò ad Antonio la via onde dovea tenere. E fatto questo, subitamente cominciando a correre verso la pianura disparve. Ma se questo centauro è animale di quello bosco, o se un diavolo confinse e formò cotale forma mostruosa per mettere paura ad Antonio, incerto è, e nullo sa chiaramente quello che fosse. Della qual cosa Antonio maravigliandosi procedeva, e continuava la sua via pensando di questa cosa che gli era apparita. E andando così pensando, pervenne ad una valle molto sassosa, e quivi mirando vide quasi la forma d'un uomo piccolo col naso ritorto e lungo e con corna in fronte ed aveva i piedi quasi come di capra; alla qual cosa spaventandosi Antonio, armossi del segno della croce e prese fidanza in Dio; e incontanente lo predetto animale, quasi in segno di pace e di sicurtà, gli proferse datteri. Allora Antonio, prendendo fiducia, istette e dimandollo chi fosse; e quegli rispuose così:
"Creatura sono mortale e uno di quelli che discorrono per l'eremo, li quali li Pagani ingannati per varii errori adorano per Dii e chiamano fauni, satiri e incubi. Sono legato della gente mia: e preghiamoti che per noi prieghi lo comune Signore, lo quale sappiamo essere venuto per la salute del mondo, e in ogni contrada è sparta la sua fama".
Le quali parole udendo Antonio incominciò a piangere di grande letizia, gaudendo della gloria di Cristo e della sconfitta del nimico. E maravigliandosi come quello animale avea potuto intendere la sua lingua e parlargli, e percuotendo lo bastone in terra, piangendo diceva:
"Guai a te, Alessandria, la quale per Iddio adori gl'idoli e le bestie; guai a te, città meretrice, nella qual pare che sieno entrate tutte le dimonia del mondo. Or che dirai per tua scusa? Ecco le bestie confessano Cristo, e tu adori gli idoli e le bestie".
E dicendo queste parole Antonio, quello animale si levò a corsa e fuggì. Di questa cosa nullo dubiti ripu tandola incredibile o vana; imperciocchè al tempo dello imperadore Gostanzo uno somigliante uomo vivo in Alessandria fu menato, e poi lo suo corpo essendo già morto fu insalato, perché il caldo non lo guastasse, e portato in Antiochia innanzi allo 'mperadore, secondochè di ciò quasi tutto il mondo può rendere testimonianza. Ma torniamo al nostro principale proponimento. Ecco Antonio pur seguitava la sua andata, avvegnachè non trovasse se non bestie e luoghi diserti e senza via; ma confidavasi in Dio, non potendo credere ch'egli l'abbandonasse. Ed ecco la seconda notte avendo egli molto vegghiato in orazione, già appressandosi al dì, vide una lupa appiè d'uno monte che mostrava d'avere gran sete; alla quale Antonio seguitandola, avvegnachè quasi nulla veder potesse perchè non era ancora giorno, ma, come dice la Scrittura, la carità cacciando paura, Antonio entrò più addentro, ma pianamente e con silenzio che non fosse sentito; e andando molto addentro, vide uno lume dalla lunga. E movendosi con più disiderio per andare tosto, inciampò in una pietra e fece alcuno strepito; lo quale suono e strepito sentendo Paolo, lo quale era dentro, serrò incontanente un uscio che v'era maravigliandosi di quello che sentito aveva. Allora Antonio si gittò appiè dell'uscio e stette infino presso a nona, pregando che gli fosse aperto, e dicea:
"Chi io sia e donde, e perchè io sia venuto, tu 'l conosci".
E questo dicea credendo che Iddio gli avesse rivelata la sua venuta e la cagione; e diceva:
"Io so bene che io non sono degno di vedere la faccia tua, ma pure insino ch'io non la veggio, non mi partirò. Poichè ricevi le bestie, come cacci gli uomini? Cercai, e hotti trovato; picchio, acciocchè m'apri; e se questo non mi concedi, morrommi al tuo uscio, e almeno mi seppellirai, poich'io sarò morto".
Al quale Paolo, quasi sorridendo, conoscendo il fervore del suo desiderio, rispose:
"Nullo dimanda grazia minacciando e piangendo: pare che mi minacci, che di', che ti lascerai morire se io non ti ricevo".
E così dicendo e sorridendo gli aperse. Ed entrando dentro Antonio, abbracciandosi con Paolo, salutaronsi per proprii nomi, avvegnachè mai innanzi lo nome l'uno dell'altro non avessono saputo.