Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di S. Antonio Abate

Capitolo IX

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Capitolo IX

 

De' diversi modi ne' quali il demonio apparve a S. Antonio.

 

Ponevami in cuore di tacere e, facendo fine al parlare non dirvi quelle cose che mi sono incontrate; ma per più fermezza della dottrina che data v'ho e per più vostra utilitade, non per vanagloria (ben lo sa Iddio), dirovvenne alquante delle molte. Venivano più volte le demonia a me e lodavanmi; ed io sempre li riprendea e cacciava; annunziavanmi quando dovea traboccare il Nilo, ed io me ne faceva beffe, e diceva:

 

"Or questo che fa a me?".

 

Vennero più volte per mettermi paura in forma di cavalieri armati e di varie fiere e mostruose, ed empiendo tutta la casa dove io era, davano vista di volermi uccidere e divorare; ed io facendo beffe di loro cantava quel verso del Salmo che dice: "Questi si gloriano in potenzia d'arme, ma noi pure nel nome di Dio"; e incontanente disparivano. E una fiata venendo con grande luce mi dissono, mostrandosi angioli buoni: "Noi vegnamo a te, Antonio, per dilettarti del nostro lume".

 

Allora chiudendo gli occhi, perchè mi sdegnava di vedere loro luce, gittaimi in orazione, e quel lume incontanente disparve. Poi dopo alquanti mesi standomi eglino innanzi, e quasi cantando e saltando per mia noia, tacetti, e mostra'mi di non udirli e di non curare, e fecimi beffe di loro. Molte altre volte venivano con grande strepito e romore, in tanto che una fiata commossono quasi dalle fondamenta tutto il mio abitacolo; e alquante fiate standomi innanzi e sibilando e facendo quasi atti di giullari per impedirmi dall'orazione, io sforzandomi di più fervemente orare e cantando in loro dispetto alcuni salmi, partivansi fremendo e piangendo e gridando. E alcuna volta m'apparve in una forma quasi d'uno grande gigante, dicendo che era la virtù e provvidenza divina, e dissemi:

 

"Che vuoi tu, Antonio mio, che io ti faccia e doni?".

 

Allora io armandomi tutto col segno della croce, gli sputai nella faccia, e quegli disparve. Digiunando io alcuna fiata m'apparve in ispecie d'un santo monaco, e porgendomi pane, mi disse quasi consigliando per discrezione:

 

"Fratel mio, non uccidere questo tuo corpicello per tanta astinenza; togli e mangia, e ricordati che se' con carne fragile; non ti affaticare dunque tanto che tu infermi".

 

E conoscendo io incontanente chi egli era e ricorrendo alle consuete armi, disparve come fummo. Spesse volte nel diserto mi mostrò grandissime masse d'oro isplendiente, perchè io ristessi a vederlo e toccarlo con desiderio. Quando eglino mi battevano, che spesse volte, come permise Iddio, mi batterono, io cantava e gridava: "Nullo mi potrà partire dalla carità di Cristo per pene, per diletti"; alla qual voce tutti quasi rodendosi con grande furia si partivano. Queste cose, figliuoli miei, v'ho dette, acciocchè siate cauti e forti nel vostro proponimento. Un'altra fiata mi picchiò all'uscio, e uscendo io fuori per sapere chi picchiasse, vidi come uno grande uomo; e dimandandolo io chi egli fosse, disse: "Io sono Satana"; e dimandandolo io che egli cercava e volea, sì mi disse:

 

"Dimmi perchè mi maledicono tutti i cristiani e voglionmi tanto male?".

 

E rispondendo io che giustamente era maladetto e odiato dalli cristiani, perciocchè gli li molestava e tentava, rispose così:

 

"Io non fo loro alcun male, che io non potrei; onde essi medesimi sono quelli che si fanno il male e turbansi insieme. Ecco che, come dice la Scrittura, la mia potenzia è infermata, e perduta ho la signoria del mondo; ecco li deserti medesimi sono pieni di monaci, li quali insieme si difendono contro a me".

 

Le quali parole io udendo, e con grande allegrezza ringraziando Iddio, sì gli dissi:

 

"Non alla tua virtù reputo questo che hai detto; che, conciossiachè tu sii mendace, per divina virtù se' ora stato costretto di dire questa verità; e veramente è così che Gesù t'ha privato d'ogni potenzia e dello onore angelico".

 

Allora udendo ricordare Gesù, a grande furore si partì. Che dubbio dunque, o che paura, o figliuoli miei, dobbiamo di loro avere? Chi fia che non dispregi loro minacce e loro moltitudine, in qualunque forma vegnano? Sia dunque ciascuno sicuro e valente, poichè esso medesimo diavolo confessa la sua impotenzia, e guati pure ciascuno che per sua negligenzia non gli dea forza contro di ; che certo quali noi e i nostri pensieri truovano, cotali ci si mostrano, cioè, che se ci veggiono valenti e umili, sì ci temono; e se ci veggiono timidi e negligenti, sì ci prendono baldanza addosso. Una è dunque la ragione che ci fa vincere lo nimico, cioè la letizia spirituale, e continua memoria e baldanza di Dio. All'ultimo v'ammonisco di questo, che quando alcuna visione vi apparisce, arditamente addimandiate chi sia e onde e a che sia venuto; e incontanente, se sia buona cosa, sentirete una grande sicurtade e consolazione, e la paura tornerà in allegrezza: ma se fosse tentazione di nimico, incontanente fia sconfitto, vedendovi così sicuri e arditi, perocchè grande segno di sicurtà si è domandare chi è quegli che ci apparisce; come veggiamo per la Scrittura che Giosuè, apparendogli l'angiolo per suo aiuto, lo dimandò chi fosse, e conobbelo; e Daniello domandando conobbe il nimico. Le quali parole poichè ebbe finite Antonio, tanto fervore e fortezza e lume rimase e crebbe nel cuore di tutti gli uditori che dire non si potrebbe; e crescendo il numero de' discepoli, erano in quel monte molti monasteri pieni di monaci, li quali cantando, orando e leggendo e sempre Iddio ringraziando, parea che fossero cori e schiere d'angioli e de' santi già glorificati. Quivi nulla offesa, mala volontà, e nulla detrazione era tra loro, ma tutti con santo studio e mirabile fervore isforzavansi d'avanzare l'uno l'altro in carità, in umiltà e in ogni esercizio di virtudi, sicchè, come detto è, rappresentavano in terra quasi una vita celestiale; massimamente Antonio, crescendo in più fervore e desiderio, e ricordandosi di quella abitazione celeste alla quale sospirava e desiderava di pervenire, dispregiava tutta la vanità di questo mondo; e come se mai non avesse fatto niente penitenza, per potere meglio vacare a Dio, partissi da' frati e andossene anche alla solitudine; e venendogli fame, o sonno, o altra necessità, secondochè richiede la fragilità dell'umana natura, vergognavasi mirabilmente che tanta libertà e tanta gentilezza, quanta era quella dell'anima sua, fosse rinchiusa e quasi legata a servire a sì picciolo corpo, a sì vil cosa, come è la carne; onde spesse volte, stando a mensa co' frati, sopra ciò pensando e levando il desiderio a quel cibo spirituale di cielo, dove non è nullo fastidio e nulla miseria, uscivagli di mente il cibo corporale, e stava a mensa come disensato; ma poi pur costretto per necessità mangiava un poco, avvegnachè con vergogna, per soddisfare alla natura; ammonendo i frati che secondo la dottrina di Cristo, cercando con tutto il desiderio lo regno del cielo e la sua giustizia, non avessono sollecitudi ne del cirbo corporale e non seguitassero li desiderii della carne, acciocchè non soggiogasse lo spirito.

 

 


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