Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di S. Antonio Abate

Capitolo XVI

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Capitolo XVI

 

Delle lettere che ricevette dall'imperadore Gostantino, e della visione che ebbe della persecuzione della Chiesa.

 

Questo molto è da maravigliare, sicchè quasi pare incredibile, cioè che i principi del mondo e i regi e l'imperatore in tanta reverenzia avessero Antonio, che si reputavano a grazia avere risposta da lui delle lettere che gli mandavano, conciossiacosachè egli mai a loro non andasse, di loro si curasse e fusse tanto da loro di lungi: che udendo la sua fama Gostantino imperadore, e' suoi figliuoli Gostante e Gostanzo, spesse volte gli scriveano, pregandolo come a padre, con reverenzia, ch'e' si degnasse di consolargli rispondendo alle loro lettere e dando loro ammaestramento di salute. E ricevendo Antonio le loro lettere non se ne gloriava, perocchè, come non se ne curasse, chiamando li suoi discepoli, diceva loro: Ecco li principi del secolo ci hanno mandate loro lettere; che cura ne dobbiamo avere, se siamo perfetti cristiani? certo poco, o nulla, che, pognamo che sia diversa la dignità, per tutti siamo pari per condizione e creazione; ma quelle scritture sono da avere in reverenzia somma per le quali Iddio ci i suoi comandamenti, che Cristo in terra predicò. Che hanno a fare i monaci colle lettere de' re mondani? perchè ricevere io queste lettere, alle quali non saprei rispondere con quella reverenzia forse che vorrebbono, o secondochè il mondo usa o richiede?".

 

Per le quali parole mostrava di non voler rispondere alle predette lettere; ma pur poi, pregato dai frati che al postutto rispondesse loro e salutassegli, acciocchè non si scandalizzassero, vedendosi dispregiati, e imputassero ciò a superbia e non ad umiltade, alle ricevute lettere fece la risposta in questo modo. Poichè gli ebbe salutati e ringraziati con reverenzia, incominciolli a lodare in prima come tenevano la perfetta fede adorando Cristo, e poi gli cominciò ad ammonire che non insuperbissero per la potenzia regale, e non dimenticassero che erano uomini come gli altri, e che doveano venire al giudicio di Cristo come gli altri; all'ultimo gl'indusse a clemenzia e a benignità verso li sudditi e a giustizia contro ai malfattori, e ad avere cura de' poveri; concludendo in fine, che uno era lo padre e signore e giudice di tutti, Iddio. Le quali lettere l'imperadore ricevendo, fecene e mostronne gran letizia, e confermandosi nell'amore della fede e nella reverenzia d'Antonio; lo quale per la sua affabilità e benigna ricevuta che faceva a chi 'l visitava, era quasi appo tutto il mondo nominato e famoso, e in tanta reverenzia che assai si reputava ingentilito, cui Antonio chiamava figliuolo. E dopo le predette cose, confutati gli filosofi e fatta la risposta agli imperadori, e ammaestrati gli discepoli, e liberati gl'indemoniati, Antonio molto desideroso, ritornando più entro al monte alla diletta solitudine, orava infaticabilmente. E andando alcuna volta così per lo monte coi suoi discepoli, subitamente era rapito e rimaneva estasito; e dipo' alquante ore parlando, diceva certe parole che a chi l'udiva, pareva che rispondesse a certe voci udite; sicchè allora dava bene ad intendere che egli vedeva alcuna visione. Onde stando in quel monte e vedendo per ispirito certe cose che si facevano in Egitto e in altre parti, sì le scrisse al vescovo Serapione, lo quale era in Egitto. Ora séguita una lamentabile e dolorosa visione che egli ebbe. In quelli tempi sedendo insieme coi frati e operando, subitamente levando gli occhi al cielo, e mirando molto fiso, cominciò molto forte a piagnere e sospirare; e stando un poco, crescendo il dolore, incominciò quasi tutto a tremare; e gittandosi ginocchione nel cospetto di Dio, il pregava che ritraesse quel giudicio che egli vedeva venire in terra; e orando piangevaforte che tutti quelli che erano presenti incominciarono a temere e piagnere fortemente. E tornando Antonio in , pregavanlo umilmente che dovesse revelare loro la cagione di quel pianto. E volendo Antonio rispondere loro, non poteva, perocchè piangeva sì a diritto e singhiottendo che non poteva avere voce, ma pur isforzandosi disse con grande voce piangendo:

 

"Meglio sarebbe, figliuoli, di morire innanzichè venga il giudicio che io veggo che Iddio manda in terra".

 

E non potendo più dire, vinto per l'abbondanzia del pianto, tacette e incominciò a sospirare fortemente, e stando un poco disse:

 

"Grandissimo e inaudito male e pessimo errore tosto verrà nel mondo, per lo quale la fede cattolica fia molto conquassata, e gli uomini bestiali conculcheranno la Chiesa di Cristo. Ho veduto l'altare di Dio circundato di muli, i quali con molti calci ogni cosa guastano. Ecco questo vidi, e questa è la cagione del mio pianto, e udi' una voce che disse: Lo mio altare fia in abominazione".

 

Dipo' la quale visione passati due anni, si levò lo pessimo errore degli Ariani, li quali traendo a li signori e li principi del mondo, rubarono e guastarono la Chiesa, opprimendo li monasterii delle sagre vergini, spargendo il sangue de' cristiani, e spandendo e conculcando le sacrementa di Cristo; sicchè ben si mostrò per effetto la verità della visione d'Antonio, perocchè propriamente e veramente la bestialitade degli Ariani fu significata per li muli che conculcavano l'altare di Dio, secondochè egli aveva veduto. E poi vedendo Antonio che questo errore in brieve dovea avere fine e allentarsi la persecuzione, consolò li suoi discepoli contristati e disse:

 

"Figliuoli miei, non vi date troppa malinconia, perocchè come Iddio turbato ha permesso questa tribolazione alla Chiesa, così tosto averà misericordia, e la Chiesa riceverà lo suo onore, e quelli che in questa persecuzione fieno costanti, vederete da Dio molto esaltati. Ritorneranno questi serpenti eretici ariani alle loro caverne e latibuli, e la cristiana religione fia magnificata. Onde guardatevi che la sincerità della vostra fede non sia maculata dalla perfidia ariana: chè questa loro dottrina non è apostolica, anzi è diabolica e bestiale, e però propriamente mi furono mostrati in simiglianza di muli".

 

 


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