Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di S. Antonio Abate

Capitolo XVIII

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Capitolo XVIII

 

Del suo santissimo fine e morte.

 

Quale e come santo e in che modo fosse lo fine d'Antonio, e io dire, e ciascuno udir dee con amore e con desiderio, perciocchè massimamente in quel punto si mostrò la sua perfezione. Essendo venuto una fiata, come solea alcuna volta, a visitare li suoi frati al monte di fuori, quivi stando, gli fu revelato da Dio, la sua morte dovere essere in brieve. Onde ragunando tutti li suoi frati e figliuoli che erano in quel monte, disse loro:

 

"Udite, figliuoli miei, e ascoltate l'ultima sentenzia e l'ultime parole del vostro padre: che revelato m'è il mio fine, e oggimai non credo che in questa vita più ci riveggiamo insieme. Costrignemi la condizione della natura che dopo centocinque anni, ne' quali ora io sono, debba rendere lo mio corpo alla terra, e passi di questa vita".

 

Le quali parole quelli udendo, cominciarono tutti con mirabile tenerezza a piagnere e a lacrimare, ed abbracciavanlo con grande amore. E Antonio molto rallegrandosi, come se uscisse di prigione e tornasse a casa, con grande fiducia morendo, ammoniva li suoi monaci di sempre crescere in fervore e ognidì migliorare, come se ognidì dovessero morire, e di fuggire gli Ariani e loro amistà e dottrina, non curandosi, scandalizzandosi perchè gli vedessero aiutati da' principi del secolo, perciocchè poco dovea durare la loro potenzia; onde diceva:

 

"Tenete ferma la fede vera di Cristo e gli ammonimenti che da me e dagli altri antichi padri avete ricevuti".

 

Finite le predette parole, vedendo li frati che egli s'affrettava di tornare al suo romitorio, ingegnavansi di tenerlo in parole e di ritardarlo da quell'andata, volendo e desiderando che, dappoichè morire doveva, morisse quivi in loro presenza. Ma Antonio assegnando loro certe cagioni che il lasciassero andare, massimamente diede loro a intendere che volea andare pur a morire al diserto perchè non si osservasse in lui quella mala consuetudine che si era levata in Egitto, di non seppellire li morti per più riverenzia. Aveano preso in uso quelli di Egitto che, quando moria un gentiluomo, o alcuno santo monaco, o martire, ch'e' facevano l'officio, ugnendo il corpo di certi unguenti aromatici, che non putisse, e involgendogli in certi panni bianchi, non gli seppellivano, ma così involti gli ponevano e serbavano in certi luoghi quasi per grande onore. Di questo Antonio molto si turbava, reputandola vana e superstiziosa usanza, e odiosa a Dio; onde spesse volte ne pregò li vescovi d'Egitto che dovessero li popoli ritrarre da questa usanza per censura ecclesiastica, allegando pure che i santissimi patriarchi e profeti e eziandio esso Cristo vollero essere sepolti, secondo che la Scrittura manifesta e le sepolture che ancora si trovano. Superba e sconvenevole usanza era che a niuno altro fosse fatto onore di non essere sotterrato, quantunque fosse grande secondo il mondo, o santo secondo Iddio, e molti da questo cotale errore per le predette ragioni ritrasse. Temendo dunque Antonio che la predetta consuetudine, la quale egli tanto aveva condannata, e tanto gli dispiaceva, non si servasse anche in lui, per la reverenzia che vedeva che a lui avevano quella moltitudine de' monaci che stavano per quello monte di fuori, affrettossi di tornare al suo abitacolo che era molto viaddentro al diserto in luogo difficile e nascoso, sicchè la morte lo cogliesse quivi. E dopo alquanti mesi poichè fu tornato, sentendosi alcun picciol mutamento e accidente d'infermità, chiamati a due frati, li quali avea quivi con seco non molto dilungi da come speziali figliuoli per anni quindici notricati, disse loro:

 

"Io, o figliuoli miei, passo di questa vita; già lo Signore mi chiama, già desidero di vedere le cose celestiali; onde v'ammonisco, carissimi miei, a perseveranzia, acciocchè non perdiate la fatica di tanto tempo. Immaginatevi d'avere incominciato pur oggi a fare penitenzia, acciocchè sempre vi studiate di crescere in meglio. Sapete, come più volte v'ho insegnato, le varie insidie delle demonia, ma sapete che per Cristo la loro potenzia è annichilita, sicchè non sono da temere. Ricordatevi de' miei ammonimenti e ripensate la condizione della dubbiosa morte e incerta, e siate valenti a bene operare, e senza dubbio riceverete lo premio celestiale. Fuggite la compagnia e la dottrina di tutti gli eretici, e siate solliciti non di voler fare miracoli, o di profetare, ma d'osservare i comandamenti di Cristo, e ripensate e seguitate gli esempi de' santi, acciocchè dipo' la vostra morte vi ricevano in loro compagnia. Massimamente vi comando e priego che, se nulla cura di me avete, se nullo amore mi portate, che dipo' la mia morte nullo porti ad Egitto le mie reliquie, sicchè il mio corpo non si servi con vano onore, e quella usanza, che io ho tanto condennata, non si tegna in me; che per questa paura massimamente tornai qua a morire. Voi dunque incontanente che lo spirito sia uscito dal corpo metterete sotterra questo corpicciuolo: e questo mio comandamento massimamente servate, che nullo mai da voi sappia lo luogo della mia sepoltura, acciocchè io in terra non sia onorato, ma confidomi in Dio che al necessario tempo della resurrezione risusciterà glorioso".

 

E dipo' queste parole lo povero di Cristo Antonio fece quasi un testamento e disse:

 

"Le vestimenta mie divido per questo modo: Le melote e il pàllio trito, sopra lo quale giaccio, date ad Atanasio vescovo d'Alessandria; e a Serapione vescovo date l'altra melote: voi abbiate lo mio vestimento cilicciaio"; e poi disse: "Rimanete in pace, carissimi miei; ecco Antonio si passa di questa vita e non fia più con voi".

 

E dette queste parole e data la pace ai discepoli, distese i piedi un poco, e l'anima uscì del corpo. E tanta allegrezza nella faccia avea nell'ora della morte, che certamente parea che egli vedesse li santi angeli, li quali erano venuti per l'anima sua, li quali vedente, quasi con desiderio volesse andare a loro, uscette del corpo; e i di scepoli ricordandosi del comandamento del maestro, quello santo corpo seppellirono e occultarono, sicchè mai nullo seppe dove fosse seppellito. Ed io Atanasio, lo quale meritai d'avere lo suo pallio trito e la melote, contemplando in quelle cose la presenza e la santità di Antonio, parmi avere ricevuta una ricca ereditade. In questo modo dunque fu lo termine della vita d'Antonio; la vita del quale avvegnachè insufficientemente sia qui da me scritta, almeno per questo cotanto che è detto, potete considerare voi, lettori in alcun modo lo principio e il mezzo e il fine della sua conversazione; del quale questo mi pare mirabile, che, pognamo che invecchiasse tanto, non perdette però la sottigliezza del vedere, il numero de' denti, la forza dell'andare, e che, avvegnachè non fosse nominato per nobiltà per altro rispetto mondano, per sola sua santitade per tutto il mondo è onorato e nominato. Ma questo procede dalla nobiltà del Creatore, lo quale li suoi servi tanto più nobilita e magnifica, quanto egli più si vilificano e fuggono. Questo libro, fratelli miei, con grande studio curate di leggere, acciocchè, conoscendo la vita delli eccellenti monaci, sappiate che Gesù Cristo onora coloro che lui onorano, e a coloro che fedelmente lo servono non solamente lo regno del cielo, ma eziandio in questo mondo gli glorifica e magnifica di gloria e di miracoli, acciocchè godano della fatica de' loro meriti, e gli altari provochino a migliorare per li loro esempli, e i Pagani veggiano come il nostro Signor Gesù Cristo, come vero Iddio, ha data questa potestà ai servi suoi, che quelli che egli reputano Iddii, cioè le demonia, possano cacciare e conculcare, mostrando e facendogli confessare come sono ingannatori degli uomini e artefici d'ogni corruzione.

 

 


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