Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di Santo Ilarione

Capitolo IV

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Capitolo IV

 

Di certi indemoniati che liberò, e come diede vittoria al cristiano contro al pagano.

 

Un fortissimo giovane era nelle contrade di Gierusalem che aveva nome Mersica, lo quale eraforte che portava addosso per lunga via quindici moggia di grano, e questo si reputava a grande gloria che portava più che i somieri. Or avvenne, come Iddio volle, lo demonio gli entrò addosso, lo quale sì per lo demonio, e sì per la sua naturale fortezza non poteva essere legato di tal cosa che non rompesse ogni legame, eziandio le catene, ed eziandio sì spezzava gli usci, quando fosse rinchiuso; ed era di tanta rabbia, che a molti pur mordendo precise il naso, e a cui l'orecchie; per la qual cosa tutte le genti della contrada temendo la furia di costui, ragunandosi insieme, sì 'l presono e legaronlo di tante funi e catene che per forza lo tirarono al monastero d'Ilarioneintraversato con questi legami che pareva che fosse un toro feroce che si menasse al macello. E vedendo li discepoli d'Ilarione costui così grande e feroce, molto spaventati nunziarono ad Ilarione questo fatto; e quegli comandò che gli fosse menato innanzi e sciolto e lasciato andare. E poichè fu sciolto, sì gli disse:

 

"Vieni qua e inchina il capo".

 

Al comandamento del quale quegli intrementito, e perduta ogni baldanza gli si gittò ai piedi, leccandoglieli; e dopo sette che stette con Ilarione, aggiurato, anzi sforzato da lui per la sua santitade, lo demonio uscette di quel giovane. Un altro gran principe d'una città, che si chiamava Ailar, la quale è presso al mare Rosso, che avea nome Orione, essendo occupato da una legione di demonia, gli fu menato innanzi tutto incatenato, perchè erafurioso che appena eziando con le catene si poteva tenere, e parea che gittasse fuoco per gli occhi, tanto era acceso di furore; e andando Ilarione con i frati parlando delle Scritture per lo suo luogo, quegli facendo grande rabbia, uscì delle mani di quelli che 'l tenevano e corse ad Ilarione e levolsi in collo per gittarlo a terra. Della qual cosa, avvegnachè tutti gli altri gridassero e temessero, Ilarione sorrise, e disse a quelli che temevano e gridavano:

 

"Tacete e lasciate me fare con costui".

 

E dette queste parole, puosegli l'una mano in capo, e prendendolo per li capelli lo gittò in terra ai suoi piedi, e con l'altra mano gli strinse le mani e puose li suoi piedi su li suoi. Tenevalo così fermo prostrato per virtù di Dio, e diceva:

 

"Or abbiate questo tormento, demonia, e questa vergogna"; e, gridando questi, stando così col capo in terra, Ilarione orò e disse:

 

"Signor mio Gesù Cristo, libera questo misero di tante demonia, chè tu, messere, puoi così cacciare molti, come uno".

 

Ed ecco (mirabile cosa e inaudita!) incontanente, fatta l'orazione, dalla bocca di questo misero uscirono diverse voci che parevano uno confuso grido e romore di popolo, e incontanente rimase guarito e libero; e dopo non molto tempo poscia venne al monastero con la moglie e co' figliuoli per ringraziare Ilarione, e offersegli alcuni donamenti; li quali doni Ilarione rifiutò, e disse:

 

"Or non hai tu letto, figliuol mio, quello che addivenne a Gezzi, il quale volle vendere la grazia dello Spirito Santo, e a Simone mago, che la volle comprare? Ben sai che per questo peccato Gezzi fu percosso dalla lebbra, e Simone fu riprovato da Dio e male finì".

 

E piangendo Orione e dicendo:

 

"Priegoti che prenda quello che io ti voglio dare, e se tu non lo vuoi per te, dàllo ai poveri"; disse Ilarione:

 

"Meglio lo puoi tu dare che io; perocchè tu stai nella cittade, e conosci li poveri, e non io; poichè io lasciai quello che io avea, oh perchè prendere' io sollecitudine dell'altrui? A molti questo cotale ricevere è stato cagione d'avarizia; la misericordia sta nel cuore, e non è arte; niuno meglio distribuisce che quegli che non si lascia nulla".

 

E perseverando Orione, e pregandolo che pur qualche cosa ricevesse, non volle, ma dissegli:

 

"Non ti turbare però, figliuolo mio: quello che io faccio, faccio per me e per te; perocchè sappi che se io ricevessi quello che tu mi vuoi dare, e io n'offenderei Iddio, e a te tornerebbe la legione de' demonii addosso".

 

Un altro della stessa città di Gaza tagliando ovvero cavando pietre presso al suo monastero alla marina, subitamente essendo diventato paralitico, fu menato dinanzi ad Ilarione; per lo quale egli orando, incontanente fu liberatoperfettamente che con quelli compagni medesimi tornò a lavorare. Dovendo un cri stiano, che si chiamava Italico, giostrare, ovvero correre a pruova in certe carrette, come s'usava anticamente, con un pagano idolatro della città di Gaza, lo quale serviva ad un idolo che si chiamava Marna, avvedendosi che quegli aveva un maleficio, lo quale per suoi incantamenti, chiamando le demonia, si studiava d'impedire li suoi cavalli che non potessero correre, venne a santo Ilarione, pregandolo non che offendesse il suo avversario, ma che aiutasse lui. Ma parendo ad Ilarione una stoltizia a perdere l'orazione in queste truffe, sorridendo sì gli rispuose e disse:

 

"Perchè ti metti tu in queste parole che non dài innanzi lo prezzo di questi cavalli ai poveri?".

 

E quegli disse che non lo faceva volentieri, ma era costretto per lo comune; ma perchè non si conveniva a uomo cristiano ricorrere ad arte magica, ricorreva a lui come a servo di Dio per aiuto, massimamente conciossiacosachè questa giostra fosse contra a quelli di Gaza, li quali erano pagani e dispregiavano la Chiesa di Dio, e molto più l'avrebbono in dispetto se in quel fatto vincessero. Le quali cose udendo Ilarione, essendo anche pregato da' frati che l'aiutasse, fecegli dare un nappo pieno d'acqua, col quale egli soleva bere, e dissegli che di quell'acqua aspergesse li carri e li cavalli e i menatori; la qual cosa quegli fedelmente facendo, lo suo avversario, ciò vedendo, fecesene gran beffe e l'andava dicendo per derisione fra la gente che aspettava di vedere questa giostra. E dato il segno che si movessero a correre l'una parte e l'altra, li cavalli di questo Italico parea che volassono, ma, quelli di quello Gazano non potendosi pur muovere, rimase vituperato e vinto. Della qual cosa levandosi grande grida nel popolo, incominciarono a gridare eziandio li pagani e insultare contro a quel Gazano, e quasi cantando dicevano:

 

"Marna è vinta da Cristo".

 

Ma li principali avversari di questo Italico, reputandosi confusi, fremivano contro ad Ilarione, dicendo che era maleficio de' cristiani, e procuravano d'avere licenzia dallo imperadore d'arderlo; ed ebberla da Giuliano imperadore, come di sotto si mostra; ma, fuggendo Ilarione, distrussero il monasterio, e perseguitarono lui ed Esichio suo monaco quanto poterono; ma Dio li campò delle loro mani, e per la detta vittoria che aveva avuta Italico contro a quello idolatra, molti pagani ne tornarono a reverenzia della vera fede.

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License