Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di Santo Ilarione

Capitolo V

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Capitolo V

 

Come liberò una giovane che era ammaliata e impazzava d'amore, e d'altri indemoniati che liberò, e come visitava i frati una volta l'anno.

 

Una giovane della predetta terra di Gaza essendo innamorato d'una santa vergine di Cristo, e vedendo che non poteva venire al suo intendimento per quantunque segni e cenni d'amore che egli le mostrasse, andossene in Memfi, dove stavano molti malefici per imprendere arte da poterla avere e costrignerla a suo amore. E standovi un anno e avendo impreso da quelli malefici quest'arte maladetta, tornò a casa con grande audacia, credendosi per certo avere suo intendimento; e incontanente ebbe una piastra di metallo di Cipri, e sculsevi entro certi caratteri e certe incantagioni e figure secondo la dottrina di quell'arte, e puosela sotto il soglio della casa di quella vergine. E incontanente fatto questo, quella vergine fu sì malamente ferita e riscaldata d'amore verso questo giovane che quasi arrabbiando si levava di capo ogni cosa; gridava chiamando il nome di costui, come pazza, perciocchè l'era entrato uno demonio addosso, lo quale le faceva fare queste cose. La qual cosa vedendo li suoi parenti, e credendo che fosse quello che era, menaronla dinanzi Ilarione, pregandolo che l'aiutasse; e incontanente che fu giunta al monasterio, il demonio, che era in lei, incominciò ad urlare e gridare, e temendo Ila rione e quasi scusandosi diceva:

 

"Io ci fu' menato per forza, chè io stava a Memfi, e dava molte illusioni la notte in sogno agli uomini. Oimè perchè ci venni; quanti tormenti sono quelli che io pato! costrignimi d'uscire, e io sono legato sotto il soglio dell'uscio, e non ci posso uscire se quel giovane, che mi vi tiene, non mi lascia".

 

Allora Ilarione, facendosi beffe di lui, sì gli disse:

 

"Grande è dunque la tua potenzia, che di' che se' legato in una piastra con una corda sotto il soglio. Dimmi, perchè fosti tu ardito d'entrare in questa vergine di Dio?".

 

E rispondendo che v'era entrato per mantenerla in virginitade, Ilarione isdegnandosi disse:

 

"Tu, perditore di castitade e spirito di fornicazione, la conserveresti vergine? tu menti, che non è tuo usato. Perchè non intrasti tu innanzi in colui che ti mandò?".

 

E que' rispose:

 

"Non faceva bisogno che io v'entrassi, che v'è il compagno mio, il quale il fa impazzare d'amore".

 

Allora Ilarione, fatta l'orazione, liberò quella vergine riprendendola, e dicendo che, se ella non avesse avuto alcun peccato per lo quale lo nemico avesse presa balía contro a lei, non sarebbele avvenuto quello. E pognamo che il demonio avesse detto vero e del giovane e della piastra, non permise Ilarione che si cercasse se fosse vero infinochè non l'ebbe guarita, acciocchè non paresse che egli non l'avesse potuta liberare senza disfare la malia, e acciocchè non mostrasse che egli desse fede alle sue parole, dicendo che sempre intende d'ingannare e mentendo e vero dicendo. Essendo sparta la sua fama per diverse provincie, un grande gentiluomo di Francia, barone dello imperadore Gostantino, essendo infino dalla sua puerizia stato occupato da un demonio, lo quale di notte lo facea urlare e piagnere e stridire li denti, udendo la fama di Ilarione, occultamente dicendo allo 'mperadore come volea andare a lui e perchè, impetrò lettere di raccomandamento da sua parte al vicario ch'era in Palestina per l'imperio, e con grande compagnia si partì e venne in Gaza. E credendo il vicario che questi venisse da parte dello imperadore a visitarlo e a fargli onore, temendo che Ilarione non si lamentasse di certe ingiurie che fatte gli avea, e concitasse lo 'mperadore contra di loro, corsero al monasterio con questo barone insieme per mostrare grande amore e reverenzia a Ilarione. Essendo Ilarione allora fuori della cella, e andando dicendo salmi, vide d'intorno a venire tanta moltitudine: ristette, e poichè gli ebbe salutati, dipo' alquanto gli benedisse, e accomiatógli tutti, ritenendo quello barone colla sua famiglia e con gli officiali di Gaza, che erano con lui, conoscendo pure agli occhi e al vedere quello ch'egli avea e quello che volea da lui: e parlandogli Ilarione, incontanente quegli, tremando sì che appena si potea reggere in piedi, incominciò a fremire, e avvegnachè non sapesse in prima niente di quel linguaggio, rispuose ad Ilarione in lingua palestina, secondochè era dimandato, e confessò in che modo v'entrò, allegando che per certe arti magiche e incantagioni v'era entrato, e poi anche Ilarione parlando in lingua greca, acciocchè li suoi interpreti lo 'ntendessono, anche gli rispose in lingua greca, dicendogli il modo come v'era entrato. Allora Ilarione disse:

 

"Non curo come entrasti, ma nel nome del nostro Signor Gesù Cristo ti comando che tu n'esca".

 

E incontanente il demonio si partì: lo quale poichè ne fu uscito, quel gentiluomo, vedendosi guarito, gli offerse dieci libbre d'oro; le quali Ilarione dispregiando, diegli un poco di pane d'orzo e dissegli:

 

"Sappi che i monaci che usano questo cibo, l'oro reputano loto".

 

Ed essendo entrato il demonio in un cammello di smisurata grandezza, pericolava molta gente, onde sforzandosi le genti di prenderlo, legaronlo con molte e saldissime funi, e ben trenta uomini e più tenendolo, glielo menarono innanzi. Avea gli occhi quasi pieni di sangue, la bocca spumosa, la lingua volubile e grossa, e gettava un ruggitoterribile che ad ogni uomo metteva paura. E comandando Ilarione che lo sciogliessero, ub bidironlo e lasciaronlo; ma tutti, eziandio gli frati di Ilarione, fuggirono per paura; e rimanendo Ilarione solo, andógli incontro e dissegli in lingua siriaca:

 

"Non ti temo, o diavolo, perchè paiterribile in questa bestia così grande; non se' più terribile, di più potenzia in questo cammello, che se fossi in una volpicella".

 

E dicendo queste parole stava colla mano stesa verso lo cammello, quasi come se 'l chiamasse a . Allora questa bestia movendosi in tanta furia contra di lui, che parea dirittamente che 'l volesse divorare, come gli fu presso cadde in terra, e come mansuetissimo animale inchinò il capo insino a terra ed il demonio si partì. E diceva Ilarione che tanto è l'odio delle demonia contro agli uomini che non solamente essi, ma eziandio le cose loro offendevano volentieri in loro danno e dispetto; e ponea di ciò esemplo di Giob, che innanzichè il diavolo toccasse lui in persona, toccò e tolsegli tutte le cose sue; e dicea che nullo perciò si dovea scandalizzare, considerando che Iddio queste cose permetta, come permise che le demonia entrassono ne' porci, secondochè dice il Vangelo, e sommergesseli, perocchè questo è per giudicio di Dio per li peccati degli uomini, di cui sono le bestie, e però ricevono questo danno. E anche nullo avrebbe potuto credere che in un uomo fossero tante demonia, se non lo avessero veduto che uscendo di quell'uomo che dice il Vangelo, entrarono in tanti porci. Non mi basterebbe il tempo se io volessi dire tutte le maraviglie che egli fece, per le quali in tanta gloria era venuto appo Dio e appo le genti, che eziandio Santo Antonio volentieri gli scriveva e riceveva sue lettere, come da singolare amico e figliuolo. E quando avvenisse che alcuni infermi li fossero menati innanzi delle contrade di Siria, dicea loro:

 

"Or perchè vi siete messi a tanta fatica di venire a me per sì lunga via, poichè avete ivi presso lo mio figliuolo Ilarione?" E di tanta edificazione ed esempio fu la sua vita che, a suo esemplo e a sua dottrina molti convertendosi, tutta la Palestina si riempiette di monasteri, e tutti correvano a lui, facendo capo di lui come di padre: della qual cosa egli non si gloriava, ma con gran letizia ringraziava Dio, e diceva loro:

 

"Figliuoli miei, questa vita è un'ombra che passa, ma quella è vera vita che si guadagna per le tribolazioni di questa".

 

E volendo dare loro consolazione, e ammaestrargli per esemplo e per dottrina, una fiata l'anno visitava tutti questi monasteri innanzi vendemmia. La qual cosa poichè fu saputa da' frati, molti ne andavano a lui, e insieme con lui visitavano tutti i monasteri della contrada, portando seco che mangiare, perocchè alcuna volta erano ben duemila. Per la qual cosa considerando gli uomini delle ville d'intorno le spese che erano bisogno che avessero li monasteri, ciascuna villa a certo tempo dell'anno provvedeva ai monaci che erano presso loro delle cose che erano loro mestieri e necessarie. Andando una fiata a vedere un suo discepolo in un deserto con moltitudine grande di monaci, pervenne a Pelusio un giorno che quelli della terra, che erano Saracini, facevano la festa del loro idolo ed erano tutti congregati nel tempio di Venere; e udendo quelli che santo Ilarione venia, lo quale molti di loro avea già liberati dalle demonia, vennerli quasi tutti incontra colle mogli e con i figliuoli, inchinando il capo con gran riverenzia, in loro lingua siriaca gridando berec, cioè: benedici, padre; li quali egli benedicendo e con grande benignità ricevendo e quasi piagnendo gli pregava che adorassero Iddio vivo e non le pietre: e levando gli occhi al cielo piagneva fortemente, orando per loro, e avendo compassione al loro errore, e promise loro che, se tornassero a Cristo, spesso li visiterebbe. E operando la divina grazia, tanto gli predicò che innanzi che si partisse, li sacerdoti degl'idoli si fecero cristiani e presero da lui la misura della chiesa che volea che facessero nel nome di Cristo. L'anno seguente dovendo secondo l'usanza visitare li monasteri, recò scritto per ordine appo quale mo nasterio si dovea posare; e sapendo li frati che fra quei luoghi era un romito molto avaro, pregaronlo che 'l visitasse, acciocchè gli desse spesa e curasselo di quello vizio. Ai quali egli rispose:

 

"Perchè volete voi fare a voi ingiuria e a lui noia?".

 

La qual risposta udendo poi quel frate avaro vergognossi, e venne a lui e pregollo e fece pregare che al postutto scrivesse e visitasse lo suo romitorio come gli altri. E promettendogli Ilarione, avvegnachè malvolentieri, di visitarlo, si partì. E sapendo che dovea venire con molta gente, puose molti guardiani per certe sue vigne con rombole e pietre, acciocchè non vi lasciassero entrare persona. E venendo poi Ilarione lo decimo , vedendo questo fatto, non vi ristette, e non lasciando toccare nulla, incontanente si partì ridendo e infignendosi di non avere veduta questa guardia, e mostrando altra cagione di partirsi. E partendosi quindi furono ricevuti da un altro monaco che si chiamava Saba una domenica mattina per tempo; lo quale invitandogli caramente tutti ad entrare per le vigne a ricrearsi con quelle uve fresche per lo caldo, Ilarione non volle, ma disse così:

 

"Maladetto sia chi innanzi intenderà al cibo del ventre che a quello dell'anima: oriamo e ringraziamo Iddio in prima, e poi entreremo nella vigna".

 

E così fecero, che fatta l'orazione, tutti quanti, che erano ben tremila, entrarono in questa vigna a mangiare dell'uve. Mirabile cosa! la vigna che, innanzi che vi entrassero, fu estimata cento lagene di vino, avendone tutti mangiato da ivi a venti , ne fece trecento; e per contrario quel frate che puose le guardie, ne ricolse meno che non solea, e diventò aceto; e tutto questo Ilarione predisse ad alquanti frati.

 

 

 


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