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Capitolo VII
Come fuggendo in Cicilia liberò uno indemoniato nella nave, e poi dell'aspra vita e povertà che faceva, e come uno indemoniato, essendo in Roma, disse come Ilarione era in Cicilia, e come fu poi liberato.
E Ilarione menando con seco un discepolo che avea nome Gazano, salì in su uno legno che andava in Cicilia, e portando seco un libro de' Vangeli, il quale, quando era giovane, aveva scritto di sua mano, istimando con quello pagare lo navolo, avvenne che, essendo già nel mezzo del mare Adriatico, un giovane figliuolo del padrone del legno, invasato dal demonio, incominciò a gridare e dire:
"O Ilarione, servo di Dio, perchè ci perseguiti eziandio in mare? dammi spazio di giugnere a terra e non mi cacciare qui in abisso".
Al quale rispose Ilarione, e disse:
"Se il mio Dio il ti concede, statti, che io non ti caccio; ma se no, e costrigneti di partire, perchè imponi tu questa virtù a me che sono uomo peccatore e povero d'ogni virtù?".
E questo dicea acciocchè i marinai e i mer canti che erano in su quel legno, quando pervenissero a terra, non lo pubblicassero e diffamassero come santo. La qual cosa conoscendo il padre di quel giovane indemoniato e gli altri della nave, promettendo di non pubblicarlo, quando pervenissero a terra, pregaronlo che liberasse quel giovane cacciando il demonio, li preghi de' quali colla detta promessa ricevendo Ilarione, cacciò quel demonio e liberò quel giovane. E venendo poi a terra e volendo Ilarione pagare lo naulo per sè e per Gazano lo padrone, vedendogli così poveri, per nullo modo volle ricevere da loro nulla. Della qual cosa Ilarione ringraziandolo e allegrandosi della sua povertade, rimase quivi in una terra che si chiama Pachino in sul mare all'entrata di Cicilia. Ma poi temendo che se venissero mercatanti e marinari delle sue contrade a quelle parti, non fosse da loro conosciuto e pubblicato, partissi quindi e andò infra terra lungi dal mare venti miglia e quivi stando vilemente e non conosciuto, come egli desiderava, in una selva facea un fastello di legne ogni giorno, e i discepoli il portavano a vendere a una terra quivi presso, e del prezzo che n'aveano compravano del pane. Ma perchè non può mentire la sentenzia di Cristo, per la quale dice: "Non si può nascondere la cittade la quale è posta in sul monte"; avvenne che un giovane indemoniato, essendo nella chiesa di San Piero di Roma, gridò e disse:
"Pochi giorni sono passati che Ilarione, servo di Dio, è entrato in Cicilia, e non si conosce da nullo che egli sia, ed egli si gode e rallegrasi immaginandosi di stare sicuro e non conosciuto, ma io v'andrò e farollo conoscere".
E dette queste parole prendendo alquanti suoi servi, se n'andò al porto immantinente, e trovando uno legno che andava in Cicilia, come piacque a Dio, salivvi suso e in brieve tempo pervenne a Pachino, e poi, menandolo il demonio tuttavia, se n'andò al bosco, e trovando Ilarione, gli si gittò a' piedi e incontanente fu liberato. La qual cosa essendo saputa e pubblicata, innumerabile moltitudine d'infermi e d'altri assai religiosi e secolari trassero a lui, fra i quali uno molto nobile e de' maggiori della contrada, essendo da lui curato d'una grave infermitade, volendogli dare molta pecunia, udì da lui quella parola che Cristo disse ai discepoli:"In dono avete ricevute le mie grazie e in dono le date".