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Capitolo VIII
Come Esichio, lo quale l'andava cercando, lo trovò; e come Ilarione, essendo fuggito ad Epidauro, uccise un dragone e reprimette l'impeto del mare, e poi fuggì in Cipri.
In questo mezzo che Ilarione era così fuggito e stavasi in Cicilia, Esichio suo discepolo l'andava per tutto il mondo cercando, entrando per li diserti e per le caverne per trovarlo, sperando e avendo fiducia di trovarlo, perocchè sapea bene che dovunque fosse, non potea stare molto tempo occulto. E dipo' tre anni, essendo in una terra che si chiama Metone, udì dire a un Giudeo, come il profeta dei cristiani era apparito in Cicilia, lo quale facea tanti segni e maraviglie che veramente parea che fosse de' santi antichi profeti. E immaginandosi quel che era, cioè che quegli fosse Ilarione, domandò questo Giudeo dell'abito, del parlare e dell'etade, e d'altri segni di questo profeta. Quegli, non sapendone nulla, se non per udita, non gli seppe rispondere, nè dichiarirlo di quello che domandava. Per la qual cosa Esichio, volendosi pure chiarire di questo fatto, subitamente trovando un legno che andava in Cicilia, entrovvi entro, e, come piacque a Dio, in pochi giorni fu giunto a Pachino. E domandando in una villa, della fama e condizione di quel romito che era venuto in Cicilia, e che si dicea che facea tante maraviglie, da tutti udì per una bocca quel che era, e come massimamente in ciò lo reputavano santo, che, facendo tanti segni e virtù tra loro, non avea pu re voluto ricevere da loro un pezzo di pane. E andando a lui, gittoglisi ai piedi con molta umiltà, narrando come l'era ito cercando. E intendendo da Gazano come Ilarione da indi a pochi giorni, perchè era troppo onorato, si voleva quindi partire e andare non so a che barbare genti, ove conosciuto non fosse, andossene con lui ad uno castello di Dalmazia, lo quale si chiama Epidauro; nel quale luogo dipo' alquanti giorni ch'e' fu stato, non si potè nascondere la sua santitade, ma manifestossi per questo modo. Era in quelle contrade un dragone di mirabile magnitudine, lo quale era chiamato boas (perciocchè questi cotali dragoni sono sì grandi che sogliono inghiottire li buoi), lo quale guastava tutta la contrada, mangiando lo bestiame e gli uomini vivi inghiottendo. La qual cosa sapendo Ilarione, e udendo lo lamento delle genti di questo fatto, raunando i popoli di quella contrada, andò dove egli era, e comandando che si facesse una gran catasta di legne, in presenzia del popolo comandò al dragone che vi salisse suso; al quale ubbidiente il dragone, costretto per la divina virtude, salivvi; e Ilarione, fatta che ebbe l'orazione a Cristo, comandandogli che stesse fermo, vi fece mettere fuoco, e in cospetto di tutto il popolo sì l'arse. Per la qual cosa vedendosi venire in gran fama e grazia del popolo, dolevasi molto e pensava in che modo potesse fuggire. In quel tempo, cioè dipo' la morte di Giuliano imperadore, addivenne per giudizio di Dio che 'l mare uscendo fuori de' termini suoi venne insino ai monti, sicchè parea che il diluvio dovesse essere da capo. La qual cosa vedendo gli uomini della predetta terra di Epidauro, nelle cui contrade ancora era Ilarione, vennero a lui (come temeano) temendo che 'l castello non si sovvertisse per l'impeto dell'onde del mare che quivi percoteano; e come si dovessero andare a battaglia, tutti raunandosi presero Ilarione, e sì 'l puosero in sulla ripa del mare. Mirabil cosa dico: facendo Ilarione tre volte il segno della croce contr'al mare, e imprimendo il segno nella rena, lo mare (che incredibil cosa pare a udire) si rizzò in alto a modo d'un muro e come si sdegnasse che non si potea spargere come solea, con mirabil impeto e furore si ruppe in sè medesimo e tornò addietro. Di questo non è da dubitare, perocchè quasi tutta la gente della terra questo vide e questo confessò e confessa, e le madri lo insegnano ai figliuoli perchè sia memoriale perpetuo. Ben si mostra dunque vero quello che disse Cristo che, se avessimo fede perfetta, faremmo mutare li monti: chè certo non minore cosa è far diventare lo mare come un monte che non si muova, anzi che eziandio torni addietro, come fece Ilarione, che sia a fare mutare li monti. Della qual cosa vedendosi venire in gran nome e fama, perocchè eziandio nelle contrade d'intorno la sua fama era sparta per le dette mirabili cose che fatto avea, occultamente e di notte fuggì quindi in su un barchettino; e trovando una nave che andava in Cipri, salivvi suso coi discepoli suoi, e venendo la nave, videsi venire incontro e addosso alquanti pirati, cioè scherani di mare, sicchè dall'una parte veggendo costoro, e dall'altra parte vedendo grandi marosi, e avendo gran tempestade, credendosi tutti morire, ricorsero ad Ilarione dicendo, come per la tempestade non potean fuggire i corsari, le quali cose egli udendo sorrise e disse:
"O uomini di poca fede, perchè avete dubitato? or sono questi più che l'esercito di Faraone? e nientemeno tutti quelli, perchè veniano contro a Dio, perirono".
E dicendo queste parole, vedendo che erano già giunti quelli corsari presso a loro a una gittata di pietra, puosesi in su l'orlo della nave, e distendendo la mano contra quegli che veniano, disse:
"Bastivi che tanto siete venuti".
O mirabil cosa! dipo' questa parola, quantunque quelli remassero innanzi, costretti furono di tornare a dietro.