Domenico Cavalca
Vite dei Santi Padri

Vita di Santo Ilarione

Capitolo IX

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Capitolo IX

 

Come fuggendo Ilarione in Cipri, le demonia che erano in terra nelli uomini, gridavano per paura d'essere da lui cacciati; e poi del luogo e del modo e del tempo della sua santissima morte.

 

Lascio molte altre cose per non essere troppo prolisso in narrare ogni suo miracolo; ma pur questo non posso tacere, che, navigando egli per certe contrade che si chiamano Ciclade, insino da lungi s'udivano le voci delle demonia che erano per le terre d'intorno e che veniano insino alla ripa gridando e lamentandosi della sua venuta. E giugnendo poi a Pafo, ch'è una delle principali terre di Cipri, puosesi ad abitare in un luogo segreto presso a due miglia alla terra, rallegrandosi molto che gli parea un poco stare in pace, non essendo ancora richiesto dalle genti, perciocchè non era saputo. Ma non passarono pur venti giorni che per tutta quell'isola tutti quelli indemoniati incominciarono a gridare, come Ilarione servo di Dio v'era venuto, ed era bisogno che gli si rappresentassero; e infra trenta giorni ben dugento indemoniati fra uomini e femmine gli si rappresentarono; li quali egli vedendo fu molto dolente pensando che non potea essere occultato, solitario, come egli desiderava. Ma pur vedendo che era la volontà di Dio, puosesi in orazione, e con tanto fervore e sì perseverantemente orò che i demonii, sentendo pena del orare, alquanti incontanente, alquanti dipo' due giorni, alquanti infra tre giorni, ma tutti infra una settimana fuggirono e uscirono di quelli miseri, ne' quali imprima erano, e quegli rimasero liberi. E pensando sempre come potesse fuggire a luogo più solitario dove conosciuto non fosse, ma non trovandolo leggermente, stette nel predetto luogo da due anni. E infra questo tempo mandò Esichio suo discepolo in Palestina per salutare quelli frati che avea lasciati e rivedere lo suo monastero che era disfatto. Lo quale Esichio ritornando poi in sulla primavera, secondochè gli avea promesso, e trovandolo disposto pur a fuggire, e che volea ire in Egitto in certa contrada che si chiamava Bucolica, dove nullo cristiano era, ma gente barbara e feroce, sconfortollone e indusselo e pregollo che in quella isola medesima in alcun luogo più secreto rimanesse. E cercando Esichio tutta l' per alcun secreto luogo, trovò dodici miglia infra mare uno monte, quasi uno scoglio occulto ed aspro, in sul quale appena brancicone si poteva salire: e quivi il menò. Il qual luogo Ilarione considerando ch'era terribile e altissimo, e circondato d'arbori, e che v'era un orticello e altri pomi e acqua viva assai, piacquegli molto, e trovovvi anche quasi un tempio antichissimo e disfatto, del quale, secondochè diceano gli suoi discepoli, s'udiano di e di notte tante e sì innumerabili voci di demonia che pareano una moltitudine ed uno esercito di battaglia; della quale cosa Ilarione molto si dilettava come valente cavaliere di Dio, pensando che avea con cui combattere. E in questo cotale luogo stette anni cinque molto consolato, perciocchè per l'asprezza e difficultà di quel luogo, e perchè era molto occulto, e per lo romore ed ombra delle demonia, pochi e quasi nullo ci andava. E un giorno uscendo fuori all'orto trovò quivi uno che era tutto paralitico; e dimandando Esichio chi egli fosse e come vi fosse venuto, e udendo da lui che era stato signore d'una villa quivi presso e che a sua giurisdizione si pertenea quel luogo e quell'orto, dove egli stava, commosso a lacrime il santissimo Ilarione per pietà, e stendendo la mano verso di lui, disse:

 

"Nel nome di Gesù Cristo sta' su e va".

 

E incontanente quegli si rizzò e fu sanato perfettamente. La qual cosa essendo saputa, molti altri infermi in diverse necessitadi posti, correvano a lui, non curandosi quasi della faticosa via per lo desiderio che aveano di guarire. E in tanta reverenzia venne delle genti delle ville d'intorno che, temendo che non si partisse secondochè egli mostrava di volere, sollicitamente il guardavano che non mucciasse; e non procedea niente da levità o puereizia d'Ilarione che così spesso volea fuggire, ma per umiltà e desiderio di contemplazione desiderava sempre di stare in solitudine e dove non fosse conosciuto. E stando nel predetto luogo, una fiata non essendovi Esichio, sentendosi infermato ed essendo certo del morire, di propria mano scrisse quasi un testamento, lasciandogli tutte le sue ricchezze, cioè lo libro de' Vangeli e una tonica di sacco e una cocolla e un pallio vile e picciolo. E sapendo la sua infermità quelli di Pafo, molti ne vennero a lui, spezialmente perchè gli aveano udito dire che tosto dovea morire; fra i quali vi venne una santissima donna che avea nome Gostanza, lo figliuolo e 'l genero della quale avea liberati da morte ugnendoli d'olio benedetto. Li quali tutti Ilarione vedendo, pregolli caramente che, poichè fosse morto, punto non lo serbassero per modo di reverenzia o per farne altra vista; ma incontanente che fosse morto lo sotterrassero in quel suo orticello, vestito come egli era, con una tonica ciliciaia, cocolla e sacco rustico. E venendo l'ora della morte, non avendo già quasi più calore se non un poco nel petto, per gran fervore parlava e diceva con gli occhi aperti:

 

"Esci di questa carcere, o anima, escine, perchè temi? di che dubiti? presso a ottanta anni hai servito a Cristo, e tu temi la morte?".

 

E queste parole dicendo con gran fidanza e conforto di Dio, ne mandò l'anima al cielo. Lo cui corpo incontanente quelli che ci erano con gran reverenzia il seppellirono, non facendolo assapere ad altri, insinochè non fue seppellito, per osservare quello ch'egli avea loro sopra ciò comandato. La cui morte poichè intese lo santissimo Esichio suo discepolo, lo quale allora era in Palestina, andossene incontanente a Cipri, e dando vista di volere abitare nel predetto luogo per devozione del suo maestro, perchè i vicini della contrada non s'immaginassero quello che egli volea fare, dopo dieci mesi prese quel corpo santissimo e occultamente mettendosi a grande rischio, lo recò ad una terra di Palestina che si chiama Maiuma; e poichè vi fu presso, facendolo assapere alle genti, con grande moltitudine di monaci e d'altra gente che gli vennero incontro, sì lo allogò e ripuose in un antico monastero della terra. E avvegnachè tanto fosse stato sotterra, così si trovò incorrotto, e sana la tonica e gli altri panni con i quali fu seppellito, come erano innanzi; e quel corpo anche intero inspirava e rendeagrande odore, come fosse pieno d'unguenti aromatici. Non mi pare da tacere in fine di questa leggenda la devozione di quella santissima donna, cioè Gostanza, della quale facemmo menzione; la quale udendo come 'l corpo d'Ilarione n'era portato in Palestina, subitamente cadde morta di dolore, e quanto l'amasse vivo mostrò morendo. Ella era usata di visitare il suo sepolcro, quando era in Cipri, e quivi vegghiare, e con tanto desiderio e fiducia orando con lui parlava, come se l'avesse presente vivo. Non picciola contenzione è stata poscia fra quelli di Cipri e quelli di Palestina, gloriandosi quelli di Palestina d'avere lo corpo e quelli di Cipri d'avere lo spirito e la virtù d'Ilarione; perocchè, avvegnachè in quel luogo ove era lo suo corpo, Dio per lui facesse molti miracoli, molti più ne fece al predetto luogo e orto, dove prima era stato: sicchè ben parea che si mostrasse che, pognamo che ne fosse portato il corpo, non era portata la virtù del suo spirito; ma credo che perciò quell'orto facea più miracoli, perchè l'avea più amato. Deo gratias.

 

 


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